CATANZARO Una vera e propria arma da guerra che Giuseppe Giampà poteva attivare a suo piacimento. Così il pm Elio Romano decrive, nel provvedimento di fermo, Francesco Vasile 31 anni fermato all’alba di oggi nel mercato coperto di Novara. Lo spietato killer della cosca di Lamezia era fuggito nel nord Italia subito dopo aver appreso la notizia che il suo “padrino” si era pentito. Troppo tardi, comunque, gli uomini della Squadra Mobile di Catanzaro, guidati da Rodolfo Ruperti, seguivano le sue mosse. Anche gli ingegnosi tentativi di depistaggio non sono serviti. Agli altri affiliati, infatti, Vasile aveva detto di trovarsi a Firenze, le celle telefoniche del cellulare suo e di sua moglie hanno consentito agli investigatori di rintracciarlo in Piemonte. Quando gli agenti in borghese gli si sono avvicinati Vasile per un attimo ha temuto che fossero i sicari inviati dalle cosche rivali, quando ha sentito “fermo polizia” ha quasi tirato un sospiro di sollievo. Il trentunenne è ritenuto l’esecutore materiale degli omicidi di Vincenzo Torcasio e del figlio Francesco. A svelare movente e modalità dei delitti è stato proprio Giuseppe Giampà che alcuni mesi fa ha voluto incontrare il capo della Mobile per annunciargli la sua decisione di collaborare con la giustizia. È stato proprio il padrino di Lamezia a spiegare che nella primavera del 2011 era venuto a sapere che «i Torcasio – Carrà si erano attivati a livello estorsivo nei confronti di imprenditori». Si decise, quindi, per un’eliminazione preventiva, prima cioè che la cosca rivale riuscisse a riprendersi parte del territorio lametino e per riaffermare la supremazia dei Giampà. La cosca Giampà decise di colpire Vincenzo Torcasio. A Vasile venne quindi procurata una pistola calibro 9 e uno scooter guidato da Angelo Torcasio, ora anche lui collaboratore di giustizia. Il 6 giugno il killer giunse a bordo della moto nel centro sportivo “Il Tricolore” dove la vittima stava assistendo a una partita di di calcetto valevole per un torneo amatoriale. Vasile sceso dal ciclomotore raggiunse a piedi il campo si posizionò alle spalle di Vincenzo Torcasio e fece fuoco. Poi tornò sullo scooter e si allontanò, gettando la pistola in una scarpata. Esattamente un mese dopo, il 7 luglio, il killer dei Giampà tornava in azione. Giuseppe Giampà, infatti, aveva saputo che il figlio di Vincenzo Torcasio, Francesco di appena 20 anni, stava meditando vendetta. A riferirlo al boss era stato un affiliato dei Torcasio, Umberto Egidio Muraca, che, dopo essere scampato a un attentato, per salvarsi la vita aveva deciso di “tradire”. In cambio della sua sopravvivenza, però, Muraca doveva “vendere” il giovane Torcasio, attirarlo in una trappola nel giorno del trigesimo del padre. Una “tragedia” organizzata con una finta rapina. Così il 7 luglio Francesco Torcasio è in via Misiani a fare da palo e garantire la fuga ai suoi affiliati. Invece, i suoi uomini lo tradiscono e con un sms in codice, “107 blu”, avvisano che la vittima si trova sul luogo prestabilito. A quel punto una moto con a bordo Vasile affianca l’auto del ventenne freddato con 15 colpi di pistola. La pistola ormai scarica viene gettata addosso alla vittima «a mo’ di sfregio per i suoi propositi omicidiari». Un killer freddo e spietato che Giuseppe Giampà teneva vicinissimo a sé, assumendolo nella sua azienda di distribuzione alimentare. Agli inquirenti ha addirittura spiegato che Vasile veniva regolarmente pagato come dipendente senza compensi aggiuntivi per il suo ruolo di sicario. Secondo il pm Romano Giampà con «Vasile dalla sua parte sentiva di poter eliminare qualsiasi avversario che si frapponesse fra se stesso e i suoi scopi». A confermare le dichiarazioni di Giuseppe Giampà ci sono i verbali resi in precedenza dall’altro pentito del clan Angelo Torcasio. Anche lui molto amico di Vasile, quest’ultimo, infatti, in segno di rispetto si era fatto tatuare sul collo un angelo. I particolari dell’arresto di Francesco Vasile sono stati resi noti durante una conferenza stampa cui hanno partecipato il procuratore Vincenzo Antonio Lombardo, l’aggiunto Giuseppe Borrelli, il questore Guido Marino, il capo della Mobile Rodolfo Ruperti e il suo vice Angelo Paduano. Gli inquirenti hanno voluto sottolineare come il fermo di oggi rappresenti un nodo cruciale, «la cosca Giampà è ormai prossima dall’essere completamente azzerata». Il procuratore aggiunto Borrelli ha poi voluto sottolineare l’importanza del pentimento di Giuseppe Giampà che ha voluto parlare sono con gli uomini della Mobile gli stessi che in quest’ultimo anno hanno assestato colpi durissimi alla sua ‘ndrina. «Giampà – ha detto Borrelli – nonostante la giovane età ci sta consentendo di ricostruire la storia della ‘ndrangheta calabrese».
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