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In aula il dramma di Maria Concetta Cacciola

PALMI Allontanato dall’aula per aver «profferito espressioni ingiuriose all’indirizzo di un teste». La presenza delle telecamere della Rai durante il dibattimento non ha costituito un deterrente pe…

Pubblicato il: 14/12/2012 – 22:19
In aula il dramma di Maria Concetta Cacciola

PALMI Allontanato dall’aula per aver «profferito espressioni ingiuriose all’indirizzo di un teste». La presenza delle telecamere della Rai durante il dibattimento non ha costituito un deterrente per l’imputato Michele Cacciola, padre della testimone di giustizia Maria Concetta, che durante l’udienza di oggi – nel processo in cui è alla sbarra con l’accusa di aver minacciato la figlia, che poi si è suicidata – dalla gabbia dell’aula bunker del Tribunale di Palmi ha inveito contro un carabiniere che stava deponendo. La motivazione dell’allontanamento, scandita dal presidente della Corte d’assise Silvia Capone, è stata corroborata anche dall’intervento fatto poco dopo dal pm Francesco Ponzetta, che ha chiesto l’immediata trasmissione del verbale d’udienza alla Procura, per l’ormai certa denuncia dell’imputato anche per ingiurie. Destinatario dell’invettiva di Cacciola, che dopo un paio di epiteti irriferibili ha urlato «mi avete ucciso la figlia», è stato il maresciallo Carlo Carli, il carabiniere della Tenenza di Rosarno che, l’11maggio del 2011, fu il primo a cui Maria Concetta Cacciola rivelò la sua volontà di denunciare le violenze subite in famiglia. L’imputato, che in questo processo risponde anche di maltrattamenti assieme alla moglie Anna Rosalba Lazzaro e al figlio Giuseppe, si è inalberato non appena il militare aveva finito di spiegare che la futura testimone di giustizia altre volte si era recata in caserma, senza mai avere la forza di denunciare. Negando questa circostanza, il padre della testimone di giustizia suicidatasi ingerendo l’acido il 20 agosto successivo a quel primo contatto con le forze dell’ordine, è andato in escandescenze rendendo necessario l’intervento delle guardie per applicare l’immediata misura disposta dalla corte perché «sebbene ammonito, ha continuato nelle ingiurie».
Il maresciallo Carli ha raccontato che la Cacciola, dopo quella prima volta in cui aveva affermato in caserma di «voler esporre delle questioni che riguardavano il suo nucleo familiare», venne convocata una seconda vota a distanza di una settimana. In quest’altra occasione il racconto della donna avrebbe assunto i tratti della descrizione drammatica, confessando che la famiglia «avrebbe iniziato a usare violenza» dopo aver ricevuto delle lettere anonime che davano conto di una relazione extraconiugale che la donna non ha smentito al carabiniere. La giovane, secondo la testimonianza del carabiniere, avrebbe parlato anche di percosse subite fino a rendere necessario l’intervento di un medico – «tale Ceravolo dell’ex Inam di Rosarno» ha chiarito il maresciallo – che «non fece alcun referto né ordinò il ricovero in ospedale per le lesioni alla schiena di cui mi aveva parlato la signora Cacciola».
Inoltre, la testimone di giustizia avrebbe detto a Carli che in passato il marito l’aveva «minacciata con una pistola». In ragione della delicatezza di quanto la Cacciola aveva iniziato a narrare, dicendosi disponibile a formalizzare ulteriori denunce solo se portata lontano da Rosarno e inserita in un programma di protezione, il 23 maggio successivo fu lo stesso capitano Ivan Boracchia, all’epoca comandante della Compagnia di Gioia Tauro, a volerla sentire. Da qui comincia la breve e tragica collaborazione della donna che, successivamente, portata in una località del Nord, manifestò a più riprese la volontà di ricongiungersi con i tre figli minori, facendo ritorno a Rosarno dove, per la disperazione, decise di mettere fine alla propria vita. Fatti che furono preceduti dalla registrazione di un’audiocassetta in cui la ragazza, secondo quanto ipotizza la Dda che sta procedendo con altre indagini parallele al processo in corso, sotto minacce avrebbe simulato il tentativo di ritrattare le accuse alla famiglia. Prima del colpo di scena dell’allontanamento di Michele Cacciola, che è cognato del boss Gregorio Bellocco, l’udienza aveva registrato la decisione della Corte di non accoglierà la costituzione di parte civile avanzata dall’avvocato Francesca Panuccio Dattola, “curatore speciale” dei figli della donna. La decisione della corte d`assise di Palmi, composta da 11 giudici popolari di cui 10 donne, non è giunta a sorpresa. Il termine per l`eventuale presentazione dell`istanza era la precedente udienza e in quell`occasione nessuno si era fatto avanti. In questo processo l`accusa oggi rappresentata anche dal pm Giulia Masci, tenta di provare che la violenza psicologica e i maltrattamenti subiti dalla giovane in famiglia siano state alla base della sua tragica volontà di togliersi la vita ingerendo acido muriatico. Un estremo gesto che, compiuto nella casa rosarnese dei genitori, raggiunta in piena estate dopo essere fuggita dalla località segreta in cui si trovava sotto protezione, sarebbe nato da un clima familiare ostile: un elemento  che la costituzione di parte civile avrebbe potuto corroborare. La corte, non accordando la costituzione di parte civile per i figli della testimone di giustizia, perchè l`istanza è arrivata fuori tempo massimo, ha dovuto limitare il campo della tutela orientando il processo verso la ricerca nell`ambito familiare di presunte cause del suicidio.

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