Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 21:00
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

CASO DE GRAZIA | Neri: «Il capitano è stato ucciso»

REGGIO CALABRIA «Lo hanno ucciso per fermare le indagini, e mi assumo tutta la responsabilità di quello che dico». È Francesco Neri a dare parola e forma alla convinzione indimostrabile che aleggia a…

Pubblicato il: 06/02/2013 – 20:01
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
CASO DE GRAZIA | Neri: «Il capitano è stato ucciso»

REGGIO CALABRIA «Lo hanno ucciso per fermare le indagini, e mi assumo tutta la responsabilità di quello che dico». È Francesco Neri a dare parola e forma alla convinzione indimostrabile che aleggia attorno al destino di Natale De Grazia: la sua non fu una morte naturale, ma “indotta”. Omicidio da avvelenamento? Le recenti indagini condotte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti accertano che il decesso del capitano di corvetta è la conseguenza di una «causa tossica». Ma dimostrare l’assassinio dell’uomo che indagava sulle “navi a perdere” è ormai impossibile. Troppo tempo è passato da quel lontano 13 dicembre 1995. Quei veleni che avrebbero causato la morte dell’ufficiale hanno avuto tutto il tempo di non lasciare traccia. Omicidio indimostrabile. Eppure Neri, il magistrato titolare dell’inchiesta sulle carrette del mare affondate con i loro carichi di rifiuti tossici, è convinto che la morte di De Grazia abbia avuto un significato preciso: bloccare l’attività investigativa, mettere fuori gioco per sempre l’investigatore che stava scoperchiando il sistema illecito e criminale di smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Scorie occultate in fondo al mare, come forse rischiava di essere nascosta per sempre la vicenda tragica del capitano di corvetta, riemersa con il suo carico di misteri dalle indagini della bicamerale d’inchiesta. Un lavoro investigativo presentato a Reggio Calabria, la città di De Grazia, alla presenza dello stesso Neri e dei familiari dell’ufficiale. È Alessandro Bratti a spiegare l’origine di un’attività d’indagine che ha riaperto un caso dai contorni inquietanti. «Lo scioglimento del nucleo investigativo subito dopo la morte del capitano, i trasferimenti anomali che De Grazia stesso subì, la paura degli inquirenti del tempo a dire tutta la verità, le rivelazioni degli informatori, ci hanno spinto a cercare di fare chiarezza dopo quasi vent’anni», spiega il relatore del documento approvato dalla commissione d’inchiesta.
Per Bratti la vicenda De Grazia, insieme al mistero sugli affondamenti in mare, va contestualizzata in un particolare momento storico nel quale «il nostro Paese non era dotato degli impianti per smaltire i rifiuti radioattivi». I trattati approvati in sede europea avevano da poco vietato il trasferimento delle scorie in altri Stati – principalmente in quelli del Nordafrica -, per questo era necessario trovare altre soluzioni. Come quella dei “tombamenti” nel Mediterraneo e lungo le coste calabresi. De Grazia indagava su questo. E forse era vicinissimo a verità scomode, molto più grandi di lui. «La nostra storia parte da qui – aggiunge il relatore della commissione -, e in seguito si arricchisce grazie ad alcune novità». Come il mistero legato alla nave russa “Latvia”, alla rada nel porto di La Spezia. «Il capitano – aggiunge Bratti – prima di morire doveva forse parlare con un informatore». Non ne ebbe il tempo.
Tra tutte le rivelazioni, la più sconvolgente è quella fornita dagli esami effettuati dal professor Arcudi, secondo cui la morte dell’ufficiale sarebbe da ricondurre a una causa tossica, anche se «quale essa possa essere stata, e se c’è stata, non lo si potrà accertare». Le verità cui è giunto Arcudi, però, mostrano l’inadeguatezza delle due precedenti perizie autoptiche condotte sul corpo di De Grazia. Esami che – secondo Bratti – «sono stati condotti più per formalità che per la reale intenzione di appurare la realtà dei fatti». Compito della commissione non è però quello di dare giudizi, quanto quello di «riportare il contenuto delle indagini, riportate in atti che sono stati trasmessi alla Procura di Nocera Inferiore».
Come già affermato dal presidente della bicamerale, Gaetano Pecorella – secondo cui «non si può non segnalare che la morte del capitano De Grazia si inscrive tra i misteri irrisolti del nostro Paese» – resta da chiedersi perché, all’indomani della morte dell’ufficiale, impegnato in un’inchiesta ad alto rischio, gli unici accertamenti tossicologici siano stati eseguiti in relazione a oppiacei e sostanze psicotrope. La presenza di veleni, invece, non è stata presa nemmeno in considerazione. Se non a distanza di un anno da quel fatidico 13 dicembre 1993, quando ormai era impossibile verificarne la presenza. «So ma non ho le prove – dice Enrico Fontana, membro della segreteria nazionale di Legambiente -. Se qualcuno ha progettato l’omicidio di De Grazia, ha colpito nel segno, perché da allora le indagini su quelle navi si sono bloccate». Per questo – continua il rappresentante degli ambientalisti – «chiediamo la riapertura delle indagini con l’ipotesi di omicidio. Non possiamo dire che il capitano è stato ucciso, ma di certo possiamo affermare che non è morto per cause naturali». Ecco perché Legambiente proporrà il riconoscimento della morte per cause di servizio dell’ufficiale e che la vicenda dei traffici illegali e dei tombamenti in fondo al mare sia «affrontata dal Parlamento italiano e dall’Europa, affinché diventi una priorità».
«C’è ancora da scavare», ammette Francesco Neri, che ha ricordato il clima nel quale gli investigatori erano costretti a lavorare: «Sapevamo di essere seguiti, abbiamo anche registrato le targhe delle auto sospette. Inoltre avevamo rinvenuto anche microspie nei locali dove ci riunivamo per cercare di trovare il materiale radioattivo a Badolato. Al governo Dini chiedemmo un miliardo di lire come fondo per cercare le navi». Ma quei soldi non arriveranno mai. Neri va oltre, denunciando i depistaggi e gli insabbiamenti perpetrati da forze rimaste anonime: «De Grazia mi confessò di aver trovato delle anomalie nel certificato di morte di Ilaria Alpi (la giornalista italiana uccisa in Somalia insieme al suo operatore, ndr). Ma quel certificato non è più stato trovato». Senza dimenticare il contesto politico nel quale il pool reggino era costretto a operare: «Ci dissero che dovevamo fermarci, la delegittimazione era costante. Siamo stati accerchiati. Ma se le indagini erano davvero a un vicolo cieco, perché De Grazia è stato ucciso?». Una domanda senza risposte. Almeno per il momento. Non ha prove nemmeno la moglie del capitano, Anna Maria Vespia. E forse non ne ha nemmeno bisogno. «Non può essere morto per cause naturali – dice -. Noi siamo qui a chiedere giustizia. Dopo 17 anni».

Argomenti
Categorie collegate

x

x