REGGIO CALABRIA «Io presidente voglio chiarire una cosa. Sui giornali locali c’è scritto che sono stato io a dare la benedizione alla protesta dei miei compagni e coimputati, ma non è vero perché io non sono capo di niente e di nessuno». Non ha gradito Demetrio Serraino, l’interpretazione che la stampa ha dato alle parole con cui, il 18 marzo scorso, si era dichiarato solidale con lo sciopero della fame proclamato dagli imputati oggi a processo, per contestare la decisione del Tribunale di non concedere l’integrazione istruttoria, chiesta dalle difese per approfondire il presunto depistaggio di cui i loro assistiti sarebbero stati vittima.
Per i legali, sarebbe stato necessario scoprire quali fossero state quelle «voci confidenziali», riferite da più di un testimone, che avrebbero all’epoca portato gli inquirenti a puntare gli attuali imputati – rinviati poi a giudizio per altra causa – per la stagione delle bombe che nel 2010 hanno terrorizzato Reggio. Approfondimenti che il Tribunale non ha ritenuto rilevanti in sede processuale, ma il pm Giuseppe Lombardo ha deciso di prendere seriamente in considerazione, raccogliendo la denuncia dei legali e aprendo un relativo fascicolo. Una mossa che non sembra essere piaciuta né alle difese, né agli imputati, che hanno scelto la via dello sciopero della fame. Una protesta cui l’anziano boss Serraino non aveva potuto aderire per ragioni di salute, dichiarandosi però «solidale» con parole dal significato inequivocabile «a me interessa la verità. Se la famiglia Serraino in passato ha sbagliato, ha sempre pagato. Non capiamo perché non sono stati accettati i testi che avrebbero provato il depistaggio nei nostri confronti».
Un messaggio che ha rotto il rigido silenzio in cui si è trincerato durante tutto il processo e che l’anziano boss sembra a tutti gli effetti aver voluto indirizzare tanto al collegio presieduto da Silvana Grasso, tanto a soggetti che stanno fuori dall’aula bunker e probabilmente lontani da Reggio Calabria.
Un silenzio che Serraino ha oggi rotto per la seconda volta dopo aver chiesto e ottenuto di poter rendere spontanee dichiarazioni, con cui ha rivendicato «non sono stato io a dare ordine di fare nulla. Cortese è stato e sta male, ma io non sono responsabile dei suoi gesti». Parole che più che una sconfessione delle precedenti affermazioni, sembrano un espediente per evitare di aggravare ulteriormente una posizione processuale non semplice e che potrebbe complicarsi se a confermare il suo ruolo di capo ci fosse anche una protesta che Maurizio Cortese – l’unico ancora in sciopero – sembra determinato a portare fino alle estreme conseguenze.
Stando a quanto riferito dai suoi legali, Cortese – per gli inquirenti, giovane capo del “banco nuovo” delle giovani leve del clan Serraino – sarebbe molto provato. Avrebbe perso più di dodici chili, ma sarebbe comunque determinato ad andare avanti. Per lui però, l’avvocato Giacomo Iaria si è limitato ad anticipare al Tribunale di aver presentato una richiesta di permessi integrativi di colloqui con i familiari, «preoccupati per le sue condizioni».
Potrebbero invece, nel giro di un mese, spalancarsi le porte del carcere per Francesco Tomasello, per il quale l’avvocato Cannizzaro ha chiesto e ottenuto dal Tribunale della libertà una nuova perizia neurologica, per valutarne la compatibilità con il regime di detenzione. Affetto da “disturbo dipendente della personalità”, per il perito di parte, il dottor Alessandro Petronio, a causa della detenzione carceraria Tomasello potrebbe aver sperimentato «un’ingravescenza dell’angoscia psicopatologica, cosa che parrebbe confermata dal progressivo incremento della prescrizione di psicofarmaci». Valutazioni che i giudici del Tribunale della libertà hanno deciso di tenere in considerazione disponendo nuove verifiche medico-legali «onde accertare – si legge nel provvedimento – se le sue condizioni di salute siano incompatibili tout court con la detenzione inframuraria, se le stesse possano, invece, essere adeguatamente tutelate presso un idoneo Cdt dell’amministrazione penitenziaria o se, ancora, sia necessario disporre un temporaneo ricovero del Tomasello Francesco in una struttura del Servizio sanitario nazionale, ricorrendo l’esigenza di far fronte ad esigenze diagnostiche-terapeutiche transitorie, non praticabili in ambito penitenziario».
Tutte valutazioni che – nel giro di trenta giorni – lo specialista individuato dal Tribunale, il dottor Francesco Chimenz, dovrà elaborare e sulle quali i giudici del Tribunale della libertà saranno a breve chiamati a pronunciarsi. (0090)
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