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Processo "Cartaruga", il pm chiede pene pesanti

REGGIO CALABRIA Pene pesanti per la maggior parte degli imputati ma anche un’assoluzione: sono queste le richieste di pena con cui il pm Stefano Musolino ha concluso la propria requisitoria al proces…

Pubblicato il: 22/04/2013 – 22:20
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Processo "Cartaruga", il pm chiede pene pesanti

REGGIO CALABRIA Pene pesanti per la maggior parte degli imputati ma anche un’assoluzione: sono queste le richieste di pena con cui il pm Stefano Musolino ha concluso la propria requisitoria al processo “Cartaruga”, il procedimento con rito abbreviato scaturito dalle tre inchieste che nell’ultimo anno hanno colpito le `ndrine della zona di San Giorgio Extra e Ciccarello di Reggio Calabria – la cosca Caridi, federata, con le famiglie Borghetto e Zindato, e il più prestigioso e potente clan Libri. Se per Antonio Stelitano è stato lo stesso pm a chiedere l’assoluzione, dalla pubblica accusa sono arrivate richieste pesanti per i soggetti considerati di rango all’interno della consorteria criminale. Vent’anni di reclusione sono stati chiesti per Giovanni Pangallo, zio materno dei fratelli Caridi, pizzicato nel circolo “Caccia Sviluppo e Territorio” – costante punto di incontro e riunione degli appartenenti alla cosca Caridi ma anche sede della segreteria politica dell’ex consigliere comunale Giuseppe Plutino, che affronta il processo in ordinario – a commentare in dettaglio estorsioni già consumate o da perpetrare, con tanto di particolari sugli imprenditori da estorcere, le attività da infiltrare, l’ammontare delle somme di danaro da riscuotere a titolo di pizzo, le percentuali dello stesso. Sono invece quindici gli anni che per il pm dovrà passare dietro le sbarre quello che gli inquirenti indicano come il boss del clan Caridi, Antonino. Più ridotte le richieste di pena per quelli che gli inquirenti considerano i collettori delle estorsioni, Domenico Antonio Laurendi e Giovanni Rodà, dunque rispettivamente da condannare a sei e nove anni di reclusione. Tre anni sono stati chiesti invece per Fortunato Quartuccio. È di diciotto anni invece la richiesta di condanna avanzata dal pm Musolino per Francesco Rosmini, considerato esponente apicale dell’omonimo clan, arrestato nell’operazione “Cartaruga”, assieme al suo uomo di fiducia, Carmelo Mandalari, per il quale la pubblica accusa ha invocato 9 anni di reclusione. Dominus di una serie di imprese dalle attività più diverse – dalla forniture di materiale cartaceo e buste ai grandi centri commerciali della città agli infissi – Rosmini, intercettato dagli investigatori, si paragonava a un “re generoso”, un monarca assoluto ma comunque sollecito nei confronti dei sudditi. «Ma dategli il pane al popolo così vi vuole bene – diceva intercettato dalle cimici degli investigatori – sai quei film quando c’è il re… allora il popolo che grida che ha fame… allora tu dagli il pane e vedi come li tieni buoni!». Assieme a lui, nel corso della medesima operazione, a finire in manette erano stati anche l’anziano patriarca Bruno Rosmini e la giovanissima Luana, entrambi accusati di intestazione fittizia e per il pm Musolino da condannare a tre anni di carcere. Le tre inchieste sfociate oggi nel procedimento hanno assestato un duro colpo alle `ndrine egemoni nel territorio compreso fra San Giorgio Extra e Ciccarello, già colpite dall`operazione che il 29 ottobre del 2010 che aveva portato a decine di arresti di affiliati dei medesimi clan. Ed è proprio approfondendo quella pista che gli investigatori, coordinati dal pm Stefano Musolino, sono arrivati ai legami della cosca con la politica e con le istituzioni. E soprattutto con il consigliere Plutino – che sta affrontando il processo con rito ordinario – la cui segreteria politica aveva sede proprio in quel circolo divenuto per gli inquirenti un`inestimabile miniera di conversazioni, intercettate e messe agli atti in una delle inchieste che ha pesato – e non poco – nella relazione che ha portato allo scioglimento del Comune. Grazie alle cimici piazzate in quel circolo che gli investigatori hanno avuto modo di ascoltare non solo conversazioni che danno conto di estorsioni già avvenute o da compiere, ma soprattutto, le poco edificanti chiacchierate tra Giovanni Domenico Savio, collaboratore e consigliere politico di Plutino, e alcuni presunti affiliati sulle future deleghe dell`amministratore. Una prova schiacciante – secondo gli inquirenti – che dimostra come «gli incarichi eventualmente assunti in seno all’amministrazione comunale fossero di interesse della cosca». Del resto – stando alle risultanze investigative – gli appartenenti alla cosca Caridi avevano profuso non poco impegno per l`elezione del politico “amico”, nonché parente di Domenico Condemi, uno degli esponenti di spicco del clan. Per la Procura, Plutino «forniva un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo alla cosca Caridi come referente politico del sodalizio, destinatario delle preferenze elettorali, ricevute sia dagli affiliati, sia da parte di terzi ma raccolti in suo favore dagli esponenti della cosca nel corso di varie consultazioni elettorali, con particolare riferimento a quelle per l`elezione del consiglio comunale di Reggio Calabria del maggio 2011, anche mediante sistemi di alterazione della libera competizione elettorale e di controllo della libertà di voto». In cambio dell`appoggio, la cosca pretendeva affari, appalti e favori. Come l`assunzione in qualità di collaboratore temporaneo della struttura del gruppo consiliare del Pdl in consiglio regionale, Maria Cuzzola, nipote di Eugenio Borghetto. (0050)

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