“Route 106”, chiesti sette rinvii a giudizio
Sono sette le richieste di rinvio a giudizio con cui si conclude la fase d’indagine di “Route 106”, l’inchiesta coordinata dal pm Antonio De Bernardo che nel luglio scorso ha scattato una fotografia…

Sono sette le richieste di rinvio a giudizio con cui si conclude la fase d’indagine di “Route 106”, l’inchiesta coordinata dal pm Antonio De Bernardo che nel luglio scorso ha scattato una fotografia impietosa degli intrecci economici e commerciali fra cosche diverse – gli Alvaro-Licari di San Procopio (fascia tirrenica), i Bruzzese-Andrianò–Fuda di Grotteria e i Cordì di Locri – che si celano dietro le grandi e piccole infrastrutture calabresi. Ma a presentarsi davanti al gup per l’udienza preliminare non saranno solo i cinque soggetti all’epoca arrestati perché accusati a vario titolo di di associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni – il boss Antonio Cataldo, detto “Papuzzella”, Massimiliano Fuda, Francesco Salvatore Fuda, Roberto Musolino e Natale Licari – ma anche Carmelo Licari, inizialmente solo indagato, e l’imprenditore Carlo Parasporo, per il quale il gip Barbara Bennato aveva rigettato la richiesta cautelare emessa dalla Procura distrettuale.
«Un personaggio complesso, spregiudicato e inquietante», così gli inquirenti definiscono Carlo Parasporo, ritenuto il crocevia degli interessi dei tre clan. Impegnato con l`omonima ditta, nella realizzazione dei lavori della nuova statale 106 e sulla strada provinciale San Procopio – Castellace, l’imprenditore era costretto a versare alla cosca Alvaro una “tassa di sicurezza” pari a seimila euro e a stipulare un contratto di nolo a freddo con l`impresa edile e di movimento terra “Musolino Roberto”, intestata a Musolino, ma di fatto in mano ai Fuda. Ma per il pm De Bernardo, Carlo Parasporo era solo formalmente una vittima dei clan, perchè delle cosche lui e la sua ditta sarebbero stati diretta espressione.
Pur proveniente da una famiglia assolutamente “pulita”, l`imprenditore è divenuto parente acquisito di Vittorio Parrotta, cognato del reggente dei Cataldo di Locri all`indomani della decapitazione della cosca avvenuta con l`operazione Primavera. Una parentela indiretta ma importante, che l`imprenditore ha fatto pesare nei suoi affari, arrivando a macinare appalti su appalti nella Locride come nella Piana di Gioia Tauro. Ma non solo. Secondo quanto hanno accertato gli investigatori, oltre alla “protezione mafiosa”, Parasporo era infatti in grado di avere anche un`interlocuzione privilegiata con altri esponenti dei clan attivi in altre aree della provincia di Reggio Calabria, dunque la possibilità di contrattare termini e condizioni più convenienti in relazione alla protezione mafiosa sui cantieri.
Un trattamento di favore in sintesi, per un imprenditore dei potenti Cataldo di Locri e sul quale anche i Commisso di Siderno avevano esteso la propria ala protettrice, ma che fuori dalla zona di competenza dei clan, è comunque costretto a pagare.
Elementi pesanti, sottolineati dal gip con un profilo durissimo, ma non sufficienti all’epoca per autorizzare l’arresto di Parasporo. «L`immagine che si trae dalla lettura delle conversazioni versate in atti – scriveva infatti il gip Bennato – è dunque quella di un imprenditore “scaltro”, perfettamente consapevole degli assetti e delle dinamiche sottese al settore di operatività, quale quello degli appalti pubblici, storicamente e ontologicamente inquinato da infiltrazioni mafiose. Un personaggio, per la verità, che da un lato non lesina apprezzamento e considerazione dei capi delle famiglie di `ndrangheta e che, proprio perché perfettamente consapevole della mafiosità di certi personaggi, è in grado di individuare “le persone che contano” e di proporre al loro cospetto l`immagine di imprenditore solido ed affidabile, dall`altro non cela il biasimo e la disapprovazione di un sistema estorsivo così imponente cui obtorto collo è costretto a soggiacere». È un confine sottile dunque quello su cui si muove Parasporo e toccherà all’udienza preliminare decidere da quale parte – vittima della violenza mafiosa o imprenditore colluso da giudicare insieme agli uomini dei clan di cui è espressione – debba cadere. (0080)