REGGIO CALABRIA C’è anche l’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna, fra le persone in grado di apportare nuovi elementi all’indagine sulla trattativa condotta dal pool della Procura di Palermo guidato dal pm Nino Di Matteo. O almeno questa è l’ipotesi che ha spinto i magistrati palermitani a convocare lunedì scorso, l’ex vice di Piero Grasso. La Procura di Palermo, nel merito, si limita a confermare l`avvenuta audizione del collega Cisterna pur ammettendo che la stessa è considerata utilissima e ricca di spunti investigativi.
I verbali sono stati immediatamente secretati ma – stando a quanto filtra – i pm del pool sarebbero interessati a conoscere episodi che avrebbero preceduto la cattura di Bernardo Provenzano – allo stato inediti – di cui Cisterna sarebbe venuto a conoscenza come viceprocuratore della Dna. Anche in forza di queste esperienze investigative, del resto, lo stesso Cisterna venne applicato alla gestione dei rapporti con la Procura di Palermo. Era questa la funzione a cui l’attuale presidente del Senato, Piero Grasso, aveva delegato il suo numero due, che si è occupato della Procura di Palermo fino alla sua rimozione dalla Dna, disposta dal Csm contro lo stesso parere del procuratore nazionale Grasso, a seguito del procedimento disciplinare scaturito dall’inchiesta per corruzione in atti giudiziari istruita dalla Procura di Reggio, all’epoca guidata da un altro palermitano, Giuseppe Pignatone.
L’inchiesta dell’Ufficio reggino, poi archiviata su richiesta degli stessi pm che l’avevano istruita, era nata dalle accuse mosse contro Cisterna dal controverso pentito Nino Lo Giudice, che da giorni ha fatto perdere le sue tracce. Accuse di cui non solo non è mai stato trovato riscontro, ma che – ha rivelato oggi lo stesso collaboratore attraverso un memoriale che ha fatto pervenire al pm della Dda reggina Giuseppe Lombardo, all`omonimo Vincenzo della Dda di Catanzaro, al presidente del Tribunale Silvana Grasso, a due legali di fiducia, gli avvocati Nardo e Calabrese, così come alla stampa – gli sarebbero state dettate da quella che definisce una “cricca di magistrati” di cui farebbero parte l’ex capo della Dda, oggi alla guida della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto, tuttora a Reggio Calabria, Michele Prestipino, e il sostituto Beatrice Ronchi, da tempo trasferita a Bologna, ma applicata a Reggio proprio per il processo alla cosca Lo Giudice. Sarebbero stati loro – afferma il pentito nel suo scritto – a «costringerlo ad accusare innocenti».
Nel memoriale si legge infatti «per quanto riguarda il dottor Cisterna-Mollace devo ribadire come ho dichiarato nella prima parte del mio interrogatorio subito dopo che ho iniziato la collaborazione che tra mio fratello Luciano e questi signori Mollace-Cisterna non c’erano affari illeciti ma solo e soltanto amicizie normali, ma subito dopo è nato qualcosa tra me e i miei interlocutori che non stava bene, minacciandomi che se non avrei raccontato quello che a “loro piaceva” mi avrebbero spedito indietro e al 41 bis, mi hanno intimidito le loro parole dandomi l’ultimatum per il giorno seguente e che dovevo pensare bene cosa raccontare quando mi sarei presentato davanti a loro “con discorsi convincenti” e allora, ricordo che ho trascorso la notte senza dormire “intassellando” il mio mosaico di discorsi “convincenti e compiacenti”». Un’operazione, denuncia Lo Giudice, cui avrebbe partecipato anche l’allora dirigente della Mobile, Renato Cortese, arrivato da Palermo assieme a Pignatone e a un suo uomo di fiducia. Di lui si legge nel memoriale: «Si è prestato ai voleri della citata cricca di inquisitori e devo dire che il dr. Cortese era parte attiva nel controllare la mia mente facendo sempre la parte del “buono”, convincendomi a dire cose che io non sapevo, mi parlava di massoneria e servizi segreti suggerendomi nomi e cognomi legati al Dr. Cisterna- Mollace-Neri, come Massimo Stellato e altri».
Accuse pesantissime e dettagliate, che il “Nano” ha voluto rendere pubbliche e che, a prescindere dalla loro fondatezza tutta da accertare, finiscono con il far pensare che – forse – è anche a Palermo che bisogna cercare la chiave del rebus reggino. O – forse – soprattutto lì. (0050)
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