REGGIO CALABRIA Prima ha fatto perdere le sue tracce, mettendo in allarme non solo l’intera Procura di Reggio Calabria, tuttora – o forse ancor di più alla luce degli eventi successivi – impegnata nelle ricerche, ma anche i vertici nazionali della Polizia e il Servizio di protezione. Meno di ventiquattro ore dopo la notizia della sua scomparsa, il pentito Nino Lo Giudice è tornato a far parlare di sé con un memoriale shock con cui smentisce tutte le sue rivelazioni, afferma di essere stato condotto a collaborare e lancia accuse pesantissime contro quella che definisce una “cricca di magistrati”.
IL MEMORIALE
Secondo quanto afferma Lo Giudice, nulla di quello che ha messo a verbale sarebbe vero. Non sarebbe lui il responsabile delle bombe e delle intimidazioni che hanno terrorizzato Reggio città nel 2010, ma “alte cariche dello Stato e servizi deviati e professionisti”. Tanto meno avrebbe mai gestito la latitanza del superboss Pasquale Condello, che addirittura non avrebbe mai neanche conosciuto. Il riferimento alla primula nera della `ndrangheta reggina sarebbe stata solo una “trovata giornalistica”.
Allo stesso modo nulla ci sarebbe di reale nelle accuse di corruzione con cui ha infangato la vita e la carriera di magistrati che prestano o hanno prestato servizio a Reggio Calabria come l’ex numero due della Dna, Alberto Cisterna – principale obiettivo della cricca, fa capire il “Nano” – e uomini a lui vicini, come il procuratore Vincenzo Macrì, il pg Francesco Mollace e il gudice Neri. Fandonie sarebbero state anche le accuse mosse a noti legali di Reggio, come gli avvocati Lorenzo Gatto e Giovanni Pellicanò, definiti “vittime di quel sistema sporco che padroneggia alcuni ambienti della magistratura”.
Un ambiente che nel suo memoriale Nino Lo Giudice identifica chiaramente con nomi e cognomi: si tratta dei magistrati protagonisti della passata gestione l’ex capo della Dda reggina, oggi alla guida della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, il suo aggiunto, tuttora a Reggio Calabria, Michele Prestipino, e il sostituto Beatrice Ronchi, da tempo trasferita a Bologna, ma applicata a Reggio proprio per il processo alla cosca Lo Giudice. Sarebbero stati loro – afferma il pentito nel suo scritto – a “costringerlo ad accusare innocenti”. Un’operazione, denuncia Lo Giudice, che avrebbero invano tentato anche con il fratello Luciano e cui avrebbe partecipato anche l’allora dirigente della Mobile, Renato Cortese, arrivato da Palermo assieme a Pignatone e suo uomo di fiducia. È questo – in estrema sintesi – il contenuto dello scottante memoriale che Nino Lo Giudice ha voluto far pervenire a Reggio Calabria e oggi rischia di appiccare un incendio che va ben oltre la città calabrese dello Stretto.
“CIAO PEPPE, DEVO CHIEDERTI UNA COSA IMPORTANTE”
È toccato al figlio del “Nano”, Giuseppe Lo Giudice, il compito di consegnare materialmente ai legali Francesco Calabrese e Giuseppe Nardo le buste contenenti il memoriale e un video che il collaboratore oggi sparito ha realizzato a corredo. Tutto materiale che il collaboratore – oggi introvabile – ha fatto avere al figlio in una busta regolarmente timbrata e affrancata e con indicato persino l’indirizzo del mittente, relativo ad una località del centro Italia.
All’interno, il figlio del “Nano” ha trovato una lettera a lui indirizzata con la richiesta – o meglio la preghiera – di fare una “cosa molto importante, sempre se puoi farmi questo favore, altrimenti butta tutto nella spazzatura”, scrive Lo Giudice. E le istruzioni che il collaboratore detta per corrispondenza al figlio sono chiare e precise:“Dentro questa busta ci sono due lettere, una per l’avvocato Nardo e l’altra per l’avvocato Calabrese Francesco, consegnale a loro. Ti raccomando – si legge nella missiva – non devono essere aperte per nessun motivo, sono documenti che mi riguardano”.
È una sorta di addio quello che il “Nano” dà al figlio Giuseppe, cui si rivolge quasi pregandolo: “Questa è l’ultima cosa che ti chiedo, ho combinato un danno irreparabile nei confronti di tua madre e di tutti voi”. E le parole di Lo Giudice – che si congeda dal figlio con “l’ultimo bacio anche se penso che non lo accetterai” e firmandosi “papà” – devono aver convinto Giuseppe.
ALLARME IN AULA BUNKER
La prima busta ad essere consegnata è quella diretta all’avvocato Francesco Calabrese. Il figlio del pentito lo ha raggiunto nell’aula bunker, dove il legale era impegnato al processo “Meta”. Nelle mani del professionista, Giuseppe ha messo una busta gialla formato A4, contenente il memoriale e una scheda di memoria. E all’avvocato Calabrese è bastato un rapido colloquio e un’occhiata per comprendere di avere in mano materiale scottante, che ha subito consegnato al pm Giuseppe Lombardo e alla presidente del Tribunale, Silvana Grasso.
Immediatamente nell’aula bunker è scattato l’allarme. L’udienza è stata più volte sospesa, per permettere a pm e presidente di valutare il contento del plico, che il pm Giuseppe Lombardo ha immediatamente chiesto di secretare, ma soprattutto per permettere ai pm della Dda – accorsi a sirene spiegate in aula bunker – di riunirsi per decidere come affrontare la situazione. Nel giro di dieci minuti dalla consegna, all’aula bunker sono arrivati gli aggiunti Nicola Gratteri e Ottavio Sferlazza, il capo della Mobile Gennaro Semeraro e il vicecapo della Mobile Francesco Rattà, ma soprattutto uno dei magistrati accusati da Lo Giudice, l’aggiunto Michele Prestipino.
Un incontro veloce, ma necessario per decidere immediatamente il da farsi. Con il collaboratore ancora in fuga e tra le mani rivelazioni così pesanti è necessario agire in modo rapido e coordinato. In quelle prime ore, l’imperativo categorico sembra essere quello di blindare il contenuto del memoriale per effettuare le opportune verifiche. Ma la notizia è troppo grossa, le rivelazioni di Lo Giudice troppo scottanti. Fin da subito iniziano a filtrare indiscrezioni: il “Nano” – è la voce che circola – ha ritrattato, sarebbe stato indotto ad accusare persone con cui non è mai stato in contatto, si sarebbe autoaccusato di delitti – come le bombe e le intimidazioni del 2010 – che non avrebbe commesso.
LE RIVELAZIONI DELL`AVVOCATO NARDO
E LE STRANE VISITE RICEVUTE DA CORTESE
Sarà l’avvocato Nardo, il secondo destinatario della medesima missiva, a sgombrare il campo da ipotesi e congetture. Con una conferenza stampa convocata “come lo stesso Lo Giudice ha chiesto nella sua lettera”, il legale ha reso pubblico il contenuto del memoriale. Nardo – avvocato di Antonio Cortese, accusato di essere l’armiere della cosca Lo Giudice – non ha mai difeso Lo Giudice, né nessuno della famiglia, ma è stato lui – ed è lo stesso collaboratore a farne espresso riferimento – a metterlo in difficoltà, contro-esaminandolo in diversi procedimenti. Sul punto il legale di più non sa dire, ma un commento sulla vicenda se lo lascia scappare: “La gravità di questo fatto è sconvolgente – ha commentato – e toccherà alle autorità appurare se ci sono burattini e burattinai, come Lo Giudice scrive, ma è certo che si ripercuoterà su processi in corso come su procedimenti già definiti”.
Di certo, il memoriale di Lo Giudice permetterebbe di chiarire anche alcuni curiosi episodi che hanno interessato proprio Cortese. “Qualche settimana fa, il mio assistito ha ricevuto una visita in carcere, tecnicamente una perquisizione, di cui si è approfittato per fare un interrogatorio senza avvocati. Erano presenti anche quattro magistrati”, riferisce Nardo, che esita a fare il nome di quei togati, ma lascia intendere che almeno alcuni sarebbero fra quelli della “cricca”. Anche perché “perquisizioni sono state fatte anche a casa del mio assistito, dove – mi è stato riferito – si è cercato insistentemente un dischetto o una flash card. E guarda caso è proprio una fl
ash card quella che Lo Giudice ha mandato assieme al memoriale”. Coincidenze dai contorni inquietanti e tutti da approfondire, ma che fanno il paio con un altro episodio che ha visto protagonista Cortese, qualche tempo fa prelevato dalla sua cella, condotto alla tenenza della guardia di finanza di Villa San Giovanni e invitato dal procuratore aggiunto della Dna, Gianfranco Donadio, a iniziare un percorso di collaborazione.
STRANE COIUNCIDENZE, VECCHIE TRAME
Lo stesso Donadio cui Lo Giudice fa espresso riferimento nel suo memoriale affermando che lo avrebbe convocato per un colloquio investigativo il cui scopo sarebbe stato solo quello di “impiantare una tragedia a persone a me sconosciute (tale Giovanni Aiello e una certa Antonella che non sapevo che esistevano e che malgrado la mia opposizione a tale richiesta ho subìto forti pressioni e minacciato che se non rispondevo quella sarebbe stata l`ultima volta che ci saremmo visti. Accettai quanto mi veniva suggerito dal dottor Donadio, facendomi firmare quanto a lui conveniva”. E da lui Donadio avrebbe preteso di sapere notizie non solo su entrambi i personaggi – che Lo Giudice avrebbe ammesso di aver conosciuto solo perché sotto pressione – ma anche delle confidenze che tale Aiello gli avrebbe fatto sugli “attentati Borsellino e di omicidi avvenuti in Sicilia ai danni di due poliziotti in borghese e di altro omicidio consumato ai danni di un bambino sempre in Sicilia”.
“Alla fine di questi discorsi – si legge ancora nel memoriale – chiesi io a lui di suggerirmi i nomi di queste persone di cui parlava e così mi disse che si trattava di un certo Aiello e una certa Antonella tutti e due facevano parte a Servizi deviati dello Stato e che la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi e che era solito recarsi a Catanzaro in una località balneare per trascorrere il periodo estivo. Ancora prima di me era stato convocato Villani Consolato e sicuramente è stato minacciato nelle medesime condizioni”. Affermazioni pesantissime e ancora tutte da verificare, ma che gettano ombre pesanti che adesso si impone che vengano al più presto chiarite. Così come si impone di trovare al più presto il collaboratore Nino Lo Giudice – cui toccherà rendere conto non solo di quanto dichiarato in precedenza, ma soprattutto di quanto svelato con il memoriale – nonostante sia lui stesso a chiedere “non disturbatevi a farmi cercare”. (0050)
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