REGGIO CALABRIA È il 18 maggio 2012, a Fiumicino c’è il sostituto procuratore nazionale Antimafia Roberto Pennisi, è appena arrivato da un viaggio di lavoro, con lui ci sono l’autista e il maresciallo dei carabinieri della sua tutela. Gli si avvicina il suo vecchio collaboratore, dei tempi di Reggio Calabria, il funzionario di polizia Luigi Silipo. «Posso salutarla?», chiede Silipo rivolgendosi a Pennisi, «il saluto non lo si nega a nessuno – risponde il magistrato – ma io non avevo nessun piacere nel vederlo».
Così inizia la dichiarazione resa da Roberto Pennisi, uno dei magistrati che ha fatto la storia del contrasto alla ‘ndrangheta, richiesta dai legali dell’ex procuratore aggiunto nazionale Antimafia Alberto Cisterna, nell’ambito del procedimento che l’ex procuratore facente funzioni Ottavio Sferlazza e il sostituto Matteo Centini hanno istruito nei confronti di Cisterna per calunnia ai danni dell’allora vicecapo della Squadra Mobile di Reggio Calabria Luigi Silipo. Tutto è partito dall’esposto in cui Cisterna accusava Silipo di aver trasmesso un’informativa contenente una serie di errori e incongruenze al pm Beatrice Ronchi, che indagava sulle presunte relazioni illecite tra i Lo Giudice e l’ex vicecapo della Procura nazionale antimafia. Un esposto che ha avuto uno sviluppo processuale paradossale. Dopo l`archiviazione delle accuse nei confronti di Silipo, alla quale Cisterna si è opposto, ecco che alcuni magistrati della Procura reggina, in quel che sembra un accanimento nei confronti del numero due della Dna, decidono di procedere nei suoi confronti per il reato di calunnia.
Un’informativa, quella di Silipo, dalla quale si scopre mancare un’intercettazione fondamentale che avrebbe immediatamente scagionato Cisterna dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per la quale era indagato dall’ex procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal pm Ronchi, unicamente sulla base delle dichiarazioni del sedicente pentito Nino Lo Giudice che non hanno mai trovato riscontro e per la quale verrà richiesta l’archiviazione dalla stessa Procura. Ma, fatto ancor più inquietante, si rivelerà la decisione da parte dei pm di non tener conto di una seconda informativa, depositata dal funzionario di polizia Francesco Giordano, che invece conteneva l’intercettazione discolpante. E come se non bastasse, dopo le sviste e le mancate verifiche, ecco che l’informativa “sbagliata” viene trasmessa dall’allora capo della Mobile, Renato Cortese a Loris D’Ambrosio consigliere giuridico del presidente Giorgio Napolitano, al procuratore generale della Corte di Cassazione, Gianfranco Ciani, al Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e al segretario generale del Csm Carlo Visconti.
Ma dopo il danno la beffa, perché la Procura di Reggio Calabria, dopo aver sostenuto che Cisterna avrebbe calunniosamente evidenziato dei falsi commessi da Luigi Silipo, ora capo della Squadra Mobile di Torino, osserva come si trattasse di errori in “buona fede”, ovvero della mancanza di dolo da parte dell’allora vice di Cortese.
Ma ritorniamo al racconto che fornisce Pennisi. Perché il magistrato non strinse volentieri la mano al suo ex pupillo? «Gli dissi che sapevo che lui aveva preso parte alle indagini sul mio collega e fraterno amico Alberto Cisterna – continua Pennisi – con il quale ho condiviso una dura azione di contrasto al crimine in Calabria, sempre condotta con dignità , fierezza e sacrificio. Mi ero sempre aggiornato sullo sviluppo di quelle indagini e sulle modalità di svolgimento. Non nascosi a Silipo di aver notato come a mio giudizio di magistrato con oltre 35 anni di carriera e come uomo libero, esse non corrispondessero a quel modello da me ritenuto giusto».
Le osservazioni del mastino catanese si fanno sempre più esplicite: «Gli ricordavo che a tutti i miei collaboratori della polizia giudiziaria, e quindi anche a lui, avevo insegnato ad essere tenaci ed inflessibili ma anche sempre onesti e corretti. Aggiunsi che non mi sembrava che nel caso di Cisterna egli si fosse attenuto a quegli insegnamenti, anzi che in questo caso lui avesse fatto il contrario. A quel punto il dottor Silipo, con le lacrime agli occhi mi disse che “era stato costretto a farlo”. Fu per me tanto chiaro il significato di quella affermazione che non volli andare oltre. Mi colpì ciò che i miei accompagnatori mi dissero, che mi fece comprendere quanto il dottor Silipo fosse stato esplicito nel suo dire e che loro avevano ben inteso».
Si spera che presto qualche inquirente voglia capire qual è il significato della frase di Silipo. Chi lo ha costretto? (0090)
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