I verbali dell`interrogatorio sono stati subito secretati, dunque dalle sue dichiarazioni potrebbe essere venuto fuori qualcosa di inedito, qualcosa cui finora si era solo vagamente accennato. Alberto Cisterna, già numero due della Dna, di fronte al pool di magistrati palermitani che indaga sulla trattativa tra Cosa nostra e alcuni pezzi dello Stato, avrebbe parlato di un tentativo di resa da parte di Bernardo Provenzano avvenuto tra il 2003 e il 2005. A rivelare alcuni particolari emersi dall`interrogatorio è ilfattoquotidiano.it con un articolo di Giuseppe Pipitone.
A sentire l`ex vice di Piero Grasso sono stati il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, che stanno indagando sul ruolo che Provenzano avrebbe avuto nella trattativa Stato-Mafia. Il sospetto è che la cattura del boss di Corleone possa essere stata manovrata da alcuni pezzi deviati dello Stato. L`episodio su cui si sarebbe concentrata parte dell`audizione di Cisterna risale al dicembre 2003, quando il magistrato reggino era già in servizio alla Dna. Nel suo ufficio in via Giulia, all`epoca, sarebbe apparso un faccendiere che voleva trattare la resa di Provenzano, che invece fu arrestato solo tre anni dopo. In cambio della resa del boss, il faccendiere avrebbe chiesto due milioni di euro e la garanzia che la notizia dell`arresto sarebbe dovuta rimanere segreta per almeno un mese. Di questo tentativo di resa concordata aveva già parlato anche Piero Grasso, ascoltato dal Csm nel dicembre 2011. Il presunto informatore aveva prospettato all`attuale presidente del Senato la possibilità di una resa di Provenzano che, disse il faccendiere, in quel momento si trovava nel Lazio. Dopo il colloquio Grasso scoprì che, prima di lui, sia Vigna, sia Macrì e Cisterna, avevano parlato con l`informatore che diceva di essere vicino al boss di Corleone.
Cisterna – ricostruisce Pipitone – si era occupato dei rapporti con la Procura di Palermo fino alla sua rimozione dalla Dna da parte del Csm, provvedimento deciso dopo che la procura di Reggio – allora guidata da Giuseppe Pignatone – lo aveva indagato per corruzione in atti giudiziari sulla scorta delle dichiarazioni di Nino Lo Giudice. L`inchiesta è stata archiviata su richiesta degli stessi pm che l`avevano istruita, e oggi il pentito si è reso irreperibile dopo aver ritrattato totalmente, in un memoriale, le sue accuse a Cisterna. Lo Giudice oggi afferma di essere stato indotto da una «cricca» di magistrati e poliziotti a rendere dichiarazioni false per screditare l`ex vice di Grasso. Il pentito accusa, tra gli altri, anche Pignatone, l`aggiunto Michele Prestipino e l`attuale capo della Mobile di Roma, Renato Cortese. Tutti uomini dello Stato che collaborarono anche con Grasso quando era al vertice della procura di Palermo. Senza dimenticare che lo stesso Pignatone, il 17 giugno 2011 – ricorda ancora il servizio su ilfattoquotidiano.it -, si era già trovato a fare i conti con i primi riferimenti ad attività «inerenti, consequenziali, accessorie» alla cattura di Provenzano. A parlargliene, nel corso di un interrogatorio, fu proprio Cisterna, che si sentì rispondere dall`ex procuratore di Reggio – tra i protagonisti dell`arresto del padrino Corleonese – un gelido: «Io non so a cosa alluda». «Lo vedremo» rispose l`ex vice di Grasso, e forse oggi si comincia ad intuire il senso di quelle parole.
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