Come cambia la povertà in un territorio che ricco non è mai stato. Una foto in verità non sempre nitida, perché molti elementi fanno riferimento a dati parecchio vecchi, ma che restituisce una situazione grave e sintomatica di un declino. Gli autori di questa ricerca sono Davide Franceschiello e Chiara Vivone, che assieme al centro Bachelet e alla Provincia di Cosenza, per la quale era presente l’assessore Giuseppe Giudiceandrea, hanno osservato e interpretato un fenomeno non nuovo ma che ha assunto caratteristiche inedite. Infatti i ricercatori hanno parlato di povertà dinamica, soggetta cioè a rapidi mutamenti di forme attraverso cui si manifesta.
Lo studio ha preso in considerazione alcuni parametri come la qualità dell’habitat, la salute e l’accesso al lavoro, la dispersione scolastica e il grado di scolarizzazione e anche la diffusione della criminalità. Segni attraverso i quali si può misurare la qualità della vita di un territorio, la crescente vulnerabilità sociale che arriva con la crisi. Il senso che ne viene è che ormai il concetto di povertà non può essere più declinato al singolare, avendo nel tempo recente assunto forme diverse, che vanno dalla difficoltà di accedere a cure mediche, alla fuga dalle aule, all’inaridimento dei risparmi e del reddito, oltre che alla mancanza di opportunità di lavoro. Non manca nello studio condotto sulla provincia di Cosenza un originale sguardo rivolto alla disabilità, come luogo sociale di particolare fragilità, e dunque maggiormente esposto a un impoverimento complessivo, visto anche l’arretramento che molte politiche sociali hanno subito in questi anni.
Per quanto riguarda specificatamente la città di Cosenza, che conta poco meno di 70mila abitanti, i dati che riguardano l’occupazione appaiono allarmanti. Infatti i disoccupati e quanti a vario motivo non lavorano sono secondo la ricerca complessivamente più di 21mila persone. Un numero impressionante che dà la misura di un affanno sociale preoccupante.
I dati diventano contrastanti quando si osserva la qualità della salute nella provincia e nel capoluogo. Infatti il numero di posti letto sembra congruo a quello della popolazione, anche grazie alla massiccia presenza di strutture private. Tuttavia il territorio cosentino condivide il destino con gli altri capoluoghi provincia calabresi per quanto riguarda l’emigrazione ospedaliera, segno di una difficoltà a curarsi con successo. Vale qui la pena di citare la città di Reggio, che nella statistica Istat del 2010 risulta la prima provincia per emigrazione sanitaria. Infine la presenza della criminalità, che nella provincia di Cosenza è rappresentata essenzialmente dalla malavita organizzata, che si manifesta attraverso il racket.
Quel che emerge dallo studio condotto è che è mutato il modo attraverso cui si manifesta il disagio, e soprattutto si è diversamente stratificata la povertà. Avendo espugnato ceti sociali che soltanto fino a ieri potevano essere considerati garantiti e al sicuro. La vecchiaia, la perdita del lavoro oppure l’impossibilità di trovarlo, con conseguente scelta di migrare, una separazione coniugale o qualche altro incidente, possono far precipitare la qualità materiale della vita di un numero di persone assai maggiore rispetto a qualche anno fa.
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