REGGIO CALABRIA “Mi sarei augurato di stare un pò peggio. Le rivoluzioni in Nord Africa non sono state dettate dalle ideologie, o non solo, ma soprattutto dalla pancia. E anche qui io avrei voluto vedere più gente arrabbiata, indignata”. Non è un uomo che le mandi a dire, Nicola Gratteri. Nelle aule di tribunale, o in una piazza davanti a una platea che gli riserva applausi quasi da rock star, il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, non pesa le parole, non misura l’effetto che possano fare, ma senza filtro racconta in modo semplice, “nello stesso modo in cui lo spiegherei a mia madre se fosse ancora viva” il suo modo di vedere la giustizia, la società, il mondo. E non fa sconti a nessuno. Chiamato da Enrico Letta a far parte della task force che nel giro di pochi mesi – i lavori termineranno a settembre – dovrà proporre al governo e al Parlamento una serie di proposte di riforma dei codici per rendere più semplice e efficace la lotta alla mafia, Gratteri è cosciente di trovarsi di fronte ad una sfida. Le bozze di riforma – quella sull’autoriciclaggio, sul concorso esterno in associazione mafiosa e sull’informatizzazione del processo penale sono già state depositate presso la presidenza del consiglio – dovranno poi essere discusse e votate in Parlamento. E non è detto che passino indenni al vaglio dell’Aula. Proprio la politica, sottolinea a più riprese a Tabula Rasa, la rassegna organizzata dal quotidiano on-line Strill – è troppo spesso mancata all’appello proprio quando dalla classe dirigente locale e nazionale era necessario che arrivassero risposte. “Se la macchina della giustizia non funziona, la responsabilità è al 90% della politica. Stando ai fatti, chiunque sia stato al potere non ha mai fatto funzionare il sistema giudiziario”.
RIFORMARE LA GIUSTIZIA E’ POSSIBILE,
MA LA POLITICA CI CREDE?
E le possibilità per snellire e far lavorare in modo più efficace ed efficiente una macchina che sembra essere in grado di attivarsi con troppo ritardo rispetto a un diritto violato o negato – che sia individuale o di un’intera comunità, schiacciata ad esempio dal giogo mafioso – sarebbero tante. Dall’informatizzazione del processo penale, che ridurrebbe sprechi di risorse e tempo – basti pensare, suggerisce il procuratore a quanto si potrebbe risparmiare solo consegnando su supporto informatico le ordinanze di custodia cautelare agli arrestati, alla riforma della prescrizione, “da bloccare in primo grado per evitare l’affollamento in Cassazione e in appello”, passando per l’accorpamento dei Tribunali e la contestuale creazione di quelli distrettuali, sono tante le misure – in fondo semplici e di facile attuazione- che in breve tempo potrebbero migliorare la macchina giustizia. L’ingrediente chiave e che fino ad oggi è mancato – fa capire il procuratore aggiunto – è la volontà politica per metterle in campo. Ed è soprattutto su un punto cruciale come la detenzione che – dice Gratteri – sono stati preferiti palliativi a soluzioni reali.
PROBLEMA CARCERI, EMERGENZA,
ALIBI O ENTRAMBE LE COSE?
“Il ministro Alfano prima e la Severino poi, si sono limitati ad abbassare sempre di più l’asticella che permette di finire di scontare la pena ai domiciliari, piuttosto che in carcere. Prima era un anno, poi è diventata un anno e mezzo, ma questo non è un modo serio per risolvere il sovraffollamento delle carceri”, tuona il procuratore, che parte da un presupposto: “Io sono contrario a qualsiasi forma di violenza o di umiliazione nei confronti dei detenuti in carcere o in caserma”. Riaperture degli istituti di pena di Pianosa e dell’Asinara, recupero e utilizzo delle carceri militari in disuso, accordi bilaterali perché i detenuti stranieri scontino la pena nei Paesi d’origine, seri programmi di recupero per i detenuti tossicodipendenti e lavoro obbligatorio come programma di rieducazione per i detenuti comuni: per il magistrato della Dda reggina sono questi gli elementi necessari perché il carcere in Italia smetta di essere quotidiana emergenza. Una situazione preoccupante anche se – sottolinea Gratteri – sembra essere quanto meno sospetto il rinnovato interesse politico per il tema: “C’è forse qualcuno – si chiede l’aggiunto della Dda- che potrebbe essere interessato a qualche amnistia, ma è cosciente come non sia un tema che paghi elettoralmente?”.
MAFIA E POLITICA
Pur nel massimo rispetto delle garanzie e dei diritti dell’indagato – afferma il magistrato – qualsiasi riforma della giustizia, non può che passare da un assunto: delinquere non deve essere conveniente. “ I mafiosi non hanno paura del carcere perché in media in galera ci stanno cinque anni, ma in compenso, nel loro territorio sono l’uomo del monte, cioè chi ogni mattina decide la vita politica, economica e sociale. Basterebbe equiparare l’associazione di stampo mafioso a quella per il traffico di stupefacenti, le cui pene vanno dai venti ai trent’anni”. Un nodo che paradossalmente sta in mano alla stessa classe politica che oggi sembra essere ostaggio delle stesse mafie che dovrebbe combattere: “Trent’anni fa erano i capimafia a inchinarsi di fronte ai politici, oggi sono i politici con il cappello in mano ad andare a chiedere ai capoclan il pacchetto di voti, perché sanno che nel paese sono un punto di riferimento”. E di certo, sottolinea il magistrato, certe leggi come la Bassanini, o la 488, “che ha portato al sud tanti truffatori del Nord”, non hanno aiutato.
NUOVE FRONTIERE, VECCHIE PASTOIE
Ma la `ndrangheta non è l’unico soggetto nei cui confronti la politica si è sempre mostrata deferente. Anche alle banche, “potere reale, in grado di bloccare la piccola e media economia”, la classe dirigente non ha mai saputo dire di no, al contrario, afferma Gratteri, sono stati spesso gli istituti di credito a dettare l’agenda. Gli stessi istituti dove spesso confluiscono capitali mafiosi. Ma il principio secondo cui “pecunia non olet”, non sembra in voga solo in Italia. “Londra è la centrale mondiale del riciclaggio – avverte il magistrato – anche in Germania, dopo l’unificazione non hanno dato peso all’afflusso di capitali stranieri perché, sostenevano, c’era tutto l’est da ricostruire. Poi si sono ritrovati con sei morti per terra a Duisburg”. E quando si parla di criminalità organizzata, la sottovalutazione non è l’unico rischio. “Per parlare di grandi risultati nella lotta alla `ndrangheta non bisogna contare il numero degli arresti, ma misurare il grado di vivibilità di un territorio”. Un quadro a tinte fosche ma reale che Gratteri disegna con la spudorata semplicità di sempre, ma con la consapevolezza che il riscatto può partire solo dagli stessi calabresi. (0090)
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