Il silenzio del ministro Lorenzin
Quando si tratta della Calabria, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin fa scena muta. Beneficiaria di un dicastero grazie alla sua trasversalità, consacrata nell’adesione alla Fondazione del pre…

Quando si tratta della Calabria, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin fa scena muta. Beneficiaria di un dicastero grazie alla sua trasversalità, consacrata nell’adesione alla Fondazione del premier Enrico Letta (VeDrò), è troppo interessata a non dare dispiaceri al suo sodale di partito Giuseppe Scopelliti, che peraltro porta in dote un bel numero di parlamentari “governativi”, per potergli infliggere il dispiacere di rispondere alle interrogazioni che lo riguardano, nella triplice veste di governatore della Calabria, commissario per il Piano di rientro e assessore regionale alla Salute.
Adesso gli interroganti senza risposta hanno deciso di chiedere direttamente al presidente del Consiglio dei ministri conto e ragione degli ostinati silenzi della ministra Lorenzin. Infatti gli interroganti senza risposta, paradossalmente ma non tanto in regime di “larghe intese”, sono quasi tutti compagni di partito del buon Enrico Letta.
In sostanza la Lorenzin rifiuta di rispondere ad un numero cospicuo di interrogazioni parlamentari, tra queste quella presentata l’8 agosto a firma dei deputati Censore, D`Attorre, Bruno Bossio, Stumpo, Oliverio, Magorno e Covello. Volevano conto delle disinvolte iniziative assunte da Peppe Scopelliti per turlupinare i lavoratori della Fondazione Campanella promettendone la trasformazione da Ente di diritto privato in pubblico.
Altra interrogazione che attende risposta dalla Lorenzin era stata presentata da Nicodemo Oliverio il 24 precedente. Mirava ad avere notizie di quanto denunciato dai giornali calabresi circa l’inagibilità del «pronto soccorso dell`ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, meta di numerosissimi accessi provenienti da tutta la provincia e da molti comuni della regione, che vive ormai da diversi mesi un profondo disagio» perché le scelte «attuate dal governatore Giuseppe Scopelliti, in quanto commissario ad acta» hanno prodotto come conseguenza che «il numero di medici su cui la struttura attualmente può fare affidamento risulta molto limitato, tant’è che il personale medico e paramedico in servizio in questi periodi dell`anno è costretto a rinunciare alle ferie e a lavorare in condizioni disumane, oberato da turni faticosi sempre più massacranti».
Ancora prima ci avevano provato i parlamentari del Movimento 5 Stelle ad avere risposte dalla Beatrice Lorenzin. L’11 giugno 2013, infatti, i deputati Parentela, Nesci, Dieni e Barbanti, le chiedevano di «sapere – premesso che la sanità calabrese è gestita per l`attuazione del Piano di rientro da un commissario ad acta, nella persona del governatore regionale Giuseppe Scopelliti, affiancato dai due subcommissari nominati dal governo e dai tecnici dell`Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali», cosa stava accadendo in Calabria con riferimento alla pianificazione dei centri di cardiochirurgia.
Silenzio totale. Ma andando a ritroso, abbiamo che già il 28 maggio precedente, il cocciuto deputato crotonese Nicodemo Oliverio aveva chiesto alla giovane, ma evidentemente già politicamente navigata, ministra di avere notizie sulle allarmanti anticipazioni che venivano date in merito alla «predisposizione di un piano integrato sulla rete ospedaliera, sulla rete di emergenza e sulla rete territoriale» da parte del commissario-governatore-assessore Scopelliti. Anche per lui un muro di silenzio. Del resto 170 giorni non sono bastati alla svogliatissima Beatrice Lorenzin per rispondere neanche ad altra interrogazione, quella firmata da nove deputati calabresi del Pd (Censore, Bindi, D`Attorre, Covello, Battaglia, Bruno Bossio, Stumpo, Magorno e Oliverio) il 16 maggio. Eppure trattavasi di una interrogazione delicata assai perché muoveva da un dato pesantissimo: «In data 15 febbraio 2013, la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, ha preso in esame l`attività dell`Asp di Cosenza, sottoposta ad accesso da una commissione per verificare eventuali infiltrazioni mafiose, evidenziando diverse inadempienze e pesanti criticità». Tra queste «una visione miope e ragionieristica del Piano di rientro della spesa sanitaria in Calabria ha cagionato un`autentica “desertificazione” sanitaria, con servizi esistenti solo sulla carta, con posti letto del tutto inesistenti, con ospedali che chiudono e non vengono sostituiti con i centri di assistenza primaria territoriale e i pochi che restano sono depotenziati e lasciati con gravi carenze di personale e di risorse tecniche e strumentali». Concludevano evidenziando la necessità di una risposta rapida perché «i fallimenti del Piano di rientro gestito da Scopelliti hanno sostanzialmente messo in discussione il diritto costituzionale alla salute in Calabria».
Brava Beatrice, ha imparato rapidamente il valore di un proverbio molto in voga tra gli amici degli amici: «La migliore risposta è quella che non si dà». (0050)