REGGIO CALABRIA Avevano chiesto a ognuno dei partecipanti di portare una candela, un lume, una lampada, una luce da tenere accesa durante il cammino. E sono state tante quelle che hanno illuminato il corteo con cui Reggio Non Tace ha voluto ricordare quella bomba piazzata di fronte alla Procura Generale, che il 3 gennaio del 2010 ha segnato l’inizio di una stagione di paura, attentati e veleni in città.
IL MOSAICO DEL 3 GENNAIO
Un attentato poi rivendicato da Nino Lo Giudice, che in un primo tempo si addosserà la responsabilità di quello, come di altri ordigni e intimidazioni che terrorizzeranno Reggio nel suo annus horribilis, per poi negare qualsiasi coinvolgimento negli episodi con due scottanti memoriali con cui ha interrotto il muro di silenzio che ha creato attorno a sé nei cinque lunghi mesi durante i quali ha deciso di far perdere le proprie tracce. Documenti delicati e pesantissimi con i quali ha ritrattato tutto quanto in precedenza dichiarato e ha puntato il dito contro quei magistrati che ne avevano curato la collaborazione e sui quali – dopo l’ennesima cattura – il Nano non ha ancora voluto fornire esaustivi chiarimenti. Al contrario, l’ex loquace collaboratore sembra essersi chiuso nel silenzio, aggiungendo nuove tessere al mosaico confuso che quella bomba ha fatto esplodere e da anni diverse Procure stanno cercando di ricostruire.
LE LAMPADE DI REGGIO NON TACE
Ma quell’ordigno, che quattro anni fa ha ridestato la città dal lungo sonno seguito alla pax mafiosa del `91, ha fatto deflagrare quello che in seguito è stato definito un “risveglio delle coscienze”. È così che molti dei militanti definiscono la nascita del movimento Reggio Non Tace, che dalla semplice determinazione a costituirsi “scorta civica” dei magistrati all’epoca sotto attacco, si è trasformato in un presidio di legalità, trasparenza e partecipazione. E che in questo senso vuole continuare il proprio cammino, lontano da chi ha cercato di blandirli, imbrigliarli, ma scegliendo coscientemente di schierarsi accanto alla gente comune, che vive sulla propria pelle lo strapotere della `ndrangheta in città. E con loro camminare, costruire a piccoli passi una città differente. È questo il segnale che il movimento ha voluto lanciare con quella che ha definito una “manifestazione delle lampade”. Spiegano infatti da Reggio Non Tace con l’appello che ha preceduto la manifestazione “nel Burkina Faso – che significa «Paese degli uomini liberi» c’è un proverbio che dice: «È idiota chi, nella notte, cerca la luce di mezzogiorno; ma, se hai la lampada, tienila accesa: potrai vedere i passi che puoi fare anche nel buio». Con le lampade accese, vogliamo provare a comunicare in che modo è possibile vivere, nella notte della nostra città, il «nel frattempo», fra la liberazione dalla prigionia del buio e il cammino della Coscienza verso la meta che è la dignità degli uomini liberi”. Un appello a cui hanno risposto quasi duecento persone.
I DUBBI DI DI LANDRO
Mischiato fra la folla, confuso fra cittadini e attivisti, ha acceso la propria candela anche il procuratore generale Salvatore Di Landro. “Sono passati quattro anni ma sono stati così tormentati e travagliati che sono volati – dice mentre sfila insieme agli altri su via Cimino -. E sono stati anni difficili perché questo processo di ricerca e di accertamento della verità è stato molto accidentato, difficile, incerto e ancora non è giunto a conclusione. Lo Giudice ha affermato di essere il responsabile tanto dell’attentato contro la Procura generale, come di quello strettamente punitivo come quello contro casa mia. Affermazioni che poi ha smentito, ma in ogni caso a cui non ha mai saputo dareuna spiegazione logica stringente. Un atto di tale eccezionale gravità, viene compiuto a ragion veduta ed è questo che si deve accertare, altrimenti non troveremo mai il bandolo della matassa”. Non è la prima volta che il procuratore generale di Reggio Calabria, colpito in prima persona da quella stagione di bombe, esprime dubbi sul ruolo di Nino Lo Giudice. Ma soprattutto, non è la prima volta che con amarezza si ritrova a dover denunciare che la Procura generale è diventata un bersaglio. Per tutti. A dimostrarlo – di recente – quella bottiglia incendiaria che il ventiduenne reggino Eros Benito De Francesco ha lasciato nell’androne del principale ufficio giudiziario della città. Un atto in seguito derubricato dai giudici di Catanzaro come il gesto di un folle, ma sul quale Di Landro sembra continuare a nutrire forti dubbi. “Si è quasi per partito preso sottovalutato quell’atto, ma questa è una scelta – afferma, amaro, il capo degli Uffici inquirenti reggini -. Rimane il fatto che la Procura generale, che una volta non era conosciuta da nessuno, adesso viene presa di mira sistematicamente. Questo da un lato lo dico con fierezza e orgoglio, perché significa che il mio ufficio è visto come un baluardo di legalità, dall’altro non vi può che essere una certa amarezza per il fatto che quest’aspetto non si sia voluto cogliere. Eppure non era difficile arrivare a queste conclusioni”. Così come – afferma – per un magistrato con oltre 40 anni di esperienza non è difficile vedere che la `ndrangheta oggi “si è trasformata in una metastasi, che corrisponde a tutta la zona grigia della città”. Ma per Di Landro “la risposta non può arrivare solo schierando ottimi magistrati e ottimi esponenti delle forze di polizia perché è un fenomeno patologico sociale, dunque la risposta deve arrivare da tutta la società. Questa è una manifestazione importante, ma deve coinvolgere tutta la società altrimenti non andiamo da nessuna parte”.
L`ABBRACCIO AL PREFETTO PISCITELLI
Una manifestazione che idealmente ha voluto anche abbracciare l’ormai ex prefetto Vittorio Piscitelli – in partenza – sostituito qualche settimana fa e richiamato a Roma come Commissario straordinario del governo per la gestione del fenomeno delle persone scomparse. Una decisione che ha lasciato “stupefatto” il movimento, che ha pubblicamente denunciato tutte le proprie perplessità al riguardo. “Per prima cosa – si leggeva nella nota diffusa qualche ora dopo l’ufficializzazione della sostituzione di Piscitelli – stupisce un trasferimento dopo così poco tempo (meno di 1 anno e mezzo), ma ancor più stupisce il fatto che questo avvenga durante il commissariamento del Comune in un momento delicatissimo per la città”. Questioni più volte sollevate dai tanti che nei giorni successivi hanno espresso le proprie perplessità, ma cui stasera il prefetto – visibilmente commosso dall’abbraccio e dal caloroso applauso dei partecipanti alla manifestazione – non ha voluto fare riferimento. “Ho avuto il privilegio di aver stabilito un rapporto diretto non solo con le istituzioni di questa città, ma anche con la collettività. Porto con me questo grande valore, questa esperienza unica”, dice di fronte alla Prefettura che già nei prossimi giorni dovrà lasciare. “Io – si lascia scappare – ho lavorato nella misura del possibile per liberare le amministrazioni dai condizionamenti, ma sono ben consapevole che in questa terra c’è una parte forte, sana e determinata che in futuro potrà prevalere”. E sembra quasi aver più fiducia nel futuro di chi, stringendoglisi attorno, lo ascolta, Piscitelli che afferma “auguro a questa terra – forte della sua cultura millenaria e assetata di giustizia – che in questo nuovo anno appena iniziato si possa rialzare, esattamente come i suoi Bronzi”. A questo – ha annunciato – “spero possano servire quei progetti che avevo promesso e che lascio in eredità a chi verrà dopo di me. So che saranno in buone mani”.
L`ASSEMBLEA DELL`11 GENNAIO
Nel frattempo continua la battaglia del movimento per quell’assemblea civica, chiesta insieme a Libera alla triade commissariale, ma su cui da Palazzo San Giorgio continuano a non arrivare risposte. Sul tavolo, ricor
dano dal movimento, rimangono le istanze venute fuori dall’incontro avvenuto nella medesima data l’anno come l’attivazione degli istituti di partecipazione e delle conferenze programmatiche. “Conferenze come quella sul bilancio – evidenziano da Rnt – nella cui sede i commissari potrebbero spiegare ai cittadini cosa sta succedendo con la Tares o la ragione per cui non è stato dichiarato il dissesto”. Tutte domande e richieste finora rimaste senza risposta. (0020)
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