La città di Reggio Calabria, sino a qualche settimana fa, figurava tra le diciannove città d’Italia candidate ad essere prescelte come capitale della cultura europea per il 2019. Certo, Reggio capitale della cultura europea è un ossimoro concettuale e sfuggono ai più i titoli in base ai quali riteneva di potervi aspirare. È vero, quello rappresentato dall’essere la prima grande città d’Italia il cui consiglio comunale era stato sciolto, per mafia, e qualcuno, in quegli stessi giorni nei quali si decideva sulle candidature, temendo che non bastasse, pensava bene di incendiare e distruggere il museo degli strumenti musicali della città. Ora, davvero, la città era pronta per concorrere con Venezia, Urbino, Siena, per entrare in Europa con un titolo tanto prestigioso. Poi, la consueta sfortuna, unita alla malevolenza della concorrenza, le ha impedito di entrare nel gruppo di sei città, dal quale sarà indicata la città destinata a tale prestigioso riconoscimento. Se i selezionatori avessero tardato ancora pochi giorni, Reggio avrebbe sbaragliato gli avversari. Avrebbe potuto aggiungere il titolo più prestigioso ed esclusivo, quello che nessuna delle altre città, italiane ed europee, potrà mai vantare: la sentenza del Tar Lazio che riconosce la legittimità dello scioglimento del consiglio comunale per mafia. Passiamo ora alle cose serie. La sentenza del Tar dovrebbe essere letta da tutti i reggini, in modo che essi possano rendersi conto non solo della riconosciuta legittimità di tutto l’iter procedimentale che ha poi condotto al provvedimento finale, ma anche per rendersi conto che in quel provvedimento non c’era nulla di “politico”, ma solamente la rigorosa applicazione della legge davanti a un contesto politico-imprenditoriale-mafioso che realizza il più aggiornato modello di presenza della mafia, nel caso di specie della ‘ndrangheta, sul territorio, della progressiva occupazione della cosa pubblica e del progressivo passaggio della gestione degli enti pubblici territoriali dalla mano pubblica alla mano mafiosa. Nel merito, il Tar conferma la piena fondatezza della proposta ministeriale, ricordando alla luce della giurisprudenza, «come la considerazione unitaria e l’esame complessivo degli elementi stessi evidenziava elementi numerosi e univoci, che mal si prestano per evidenza e consistenza a essere sottovalutati o sminuiti, singolarmente o complessivamente». Al riguardo, emerge invero con ogni chiarezza che, contrariamente a quanto rappresentato dai ricorrenti, la proposta ministeriale elaborata nella fattispecie dà logicamente e adeguatamente conto di fatti storicamente verificatisi e accertati e quindi concreti, che sono stati correttamente ritenuti univocamente espressivi di situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell`ente comunale, cui non sono estranei anche amministratori ex art. 77, d.lgs. 267/2000. Questi ultimi, sempre poi contrariamente a quanto lamentato dai ricorrenti, sono agevolmente individuabili mediante la lettura delle anomalie riportate nella proposta, nella relazione prefettizia e nella relazione della commissione di accesso». Non è possibile, purtroppo, riportare i brani della sentenza che riportano gli elementi di fatto, provenienti da fonti giudiziarie e amministrative, che imponevano lo scioglimento contestato. Tra questi si rammentano l’arresto di un consigliere comunale perché indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa, frequentazione di altro consigliere comunale con ambienti criminali, cointeressenze, «la circostanza che un consigliere di maggioranza, presidente del consiglio comunale, già assessore nella precedente consiliatura, avesse partecipato alle esequie funebri di un noto esponente della `ndrangheta», che «lo studio commerciale riconducibile al sindaco avesse effettuato attività di consulenza fiscale-tributaria a favore della società mista alla quale il Comune, in forza di un contratto di servizio stipulato il 28 febbraio 2005, aveva affidato la manutenzione e la gestione dei beni demaniali e patrimoniali dell`ente. Tale società, di cui il Comune detiene il 51% del capitale sociale, è risultata fortemente condizionata dalla criminalità organizzata, tanto da essere sciolta e posta in liquidazione a seguito dell`emissione nel giugno 2012 di un`interdittiva antimafia nei confronti del socio privato della municipalizzata (non sospesa dall’adito g.a., che rilevava “l`ampiezza e gravità del quadro risultante dagli accertamenti riferiti nella relazione della Prefettura del 3 settembre 2012”)». E ancora «i vincoli parentali di tre consiglieri con persone contigue alle cosche o gravate da vicende penali per associazione di tipo mafioso e le frequentazioni di un altro consigliere con un affiliato alla criminalità organizzata reggina. Si sottolinea come tali elementi depongano per l’esistenza di un substrato di cointeressenze tra amministratori e criminalità, foriero di possibili interferenze o condizionamenti della volontà dell`ente; la circostanza che un cospicuo numero di dipendenti comunali, di cui alcuni impiegati in uffici di diretta collaborazione del sindaco, sia legato da vincoli parentali o frequentazioni con elementi della criminalità organizzata, ovvero sia gravato da precedenti e pregiudizi di polizia per reati di natura associativa». Le citazioni potrebbero continuare e sarebbero tutte altamente istruttive. La giustizia amministrativa ha fatto la sua parte, fatto salvo il diritto dei ricorrenti a proporre impugnazione. Resta ancora un lungo cammino che riguarda l’accertamento delle responsabilità civili, contabili, penali. Ci vorrà probabilmente un lungo percorso tortuoso e pieno di insidie per arrivare alla sua conclusione. Al momento la ‘ndrangheta, che in tutto questo ha evidenti interessi anche politici, ha steso la cortina fumogena fatta di oscillanti collaboratori di giustizia, di calunnie disseminate a pioggia, di depistaggi organizzati. I cittadini aspettano ancora l’accertamento della verità su ciò che è accaduto in città negli ultimi dieci anni a livello politico e amministrativo, sulla base di due principi costituzionali, l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e la (correlata) obbligatorietà dell’azione penale. (0050)
*magistrato
x
x