LUCE SU VIBO | Il caffè con il boss
Le condotte dei funzionari di polizia Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò sono state «allarmanti, anzi devastanti». Così il gip di Catanzaro, Abigail Mellace, commenta i legami emersi tra l`ex capo del…

Le condotte dei funzionari di polizia Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò sono state «allarmanti, anzi devastanti». Così il gip di Catanzaro, Abigail Mellace, commenta i legami emersi tra l`ex capo della Mobile di Vibo e del suo vice con l`avvocato Antonio Galati anello di congiunzione tra i rappresentanti delle istituzioni e gli esponenti del potente clan Mancuso di Limbadi. «Grava in modo indiscutibile sui due funzionari – scrive ancora il gip – l`accusa di avere abdicato all`esercizio delle proprie funzioni in un territorio ad altissima densità criminale, lasciando l`inerme cittadinanza ancora più esposta al potere di assoggettamento delle potenti e pericolose cosche».
L`accusa si basa su un dato che appare oggettivo: dal giugno 2009 al novembre 2011 (data che segna la fine della reggenza dell`ufficio da parte di Maurizio Lento) la squadra mobile di Vibo Valentia non ha svolto praticamente alcuna attività investigativa di rilievo su quella che è da sempre la cosca `ndranghetistica più pericolosa della provincia di Vibo Valentia. Per il gip Mellace è stata «completamente omessa l`effettuazione di qualsivoglia attività di inziativa finalizzata anche al solo controllo del territorio». Nell`ordinanza viene citato un caso in particolare, ovvero il mancato accertamento degli obblighi della sorveglianza speciale da parte di Pantaleone Mancuso, detto “l`ingegnere”. L`ultimo controllo, annota il gip, risale al 2008 e oltretutto, in quella occasione, «si era concluso con esito “positivo”, essendo emersa la violazione da parte del sottoposto degli obblighi su di esso incombenti».
E dire che, al contrario, diverse erano state le segnalazioni giunte in quel periodo alla Mobile vibonese. I tentativi di infiltrazione del clan erano stati segnalati dalle autorità toscane, umbre, a Civitavecchia addirittura gli uomini della cosca sarebbero stati interessati alla costruzione di una centrale Enel, e ancora truffe e traffico di droga. «Segnalazioni che – a parere del gip – avrebbero dovuto, invece, formare oggetto di adeguato e mirato approfondimento investigativo».
Una «inerzia» dei vertici della squadra mobile di Vibo apprezzata dal boss Pantaleone Mancuso, “vetrinetta”, che al telefono con l`avvocato Galati a proposito di Maurizio Lento dice: «Deve essere una persona seria… invece quel “pagliaccio” si vede tutti i giorni nella televisione… disgraziato». Il riferimento sarebbe a Rodolfo Ruperti predecessore di Lento a Vibo Valentia, e attuale dirigente della squadra mobile di Catanzaro. Affermazione alla quale Galati risponde: «Esatto!… vedete… notate la differenza!». Una stima che appare ricambiata alla luce di un altro dialogo captato tra Galati e il boss Mancuso. Il penalista, infatti, raccontava che Lento era rammaricato di «avere mancato sia nei suoi confronti, che nei confronti dello zio `Ntoni» Mancuso, di 76 anni, uno dei patriarchi della cosca, e pertanto si era ripromesso, nei giorni seguenti, con la “scusa” di una perquisizione, di recarsi a trovarli.
Mancuso: «Digli che passano di qua che si prendono il caffè…»
Galati: «Va bene…»
Mancuso: «Gli dicevi di passare di qua! L`altra sera l`ho visto in televisione…»
Galati: «Eh.. mi ha detto che ancora è… è mancante…»
Mancuso: «Mancante di che?»
Galati: «Mancante… che non è sceso a trovare a voi, a trovare lo “zio `ntoni” …»
Mancuso: «Eh .. mù veni! (che venga, ndr) ci prendiamo un caffè!»
Galati: «Mi ha detto: “mi devo trovare qualche scusa di qualche perquisizione… – ha detto – così con la scusa vado…”».
Nessun problema, quindi, per l`ex capo della mobile a incontrare uno dei massimi esponenti della cosca, serviva però una scusa per non rischiare «se c`è qualche microfono… che armano `ste pagliacciate…», spiegherà Galati in un`altra intercettazione. «Ripeteva, in sostanza – scrive il gip – il concetto già espresso in una precedente conversazione: il dirigente della squadra mobile aveva riferito al Galati di aver timore ad incontrare nuovamente Pantaleone Mancuso a causa della possibile presenza di microspie dei carabinieri presso il suo casolare». Per Mancuso, spiega il giudice Mellace, Lento era «un investigatore che aveva già dato prova della sua ampia disponibilità nei loro confronti». Ancora una volta, è scritto nell`ordinanza del gip, l`avvocato Galati lo rassicurava che “loro” non avrebbero fatto indagini sul suo conto. Ne parlano in occasione della visita dello stesso Lento e del suo vice Rodonò a Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, ritenuto capo dell`ala militare del clan, per la notifica dell`atto di autopsia sul corpo della moglie suicida. Una visita che non sarebbe poi comparsa sul verbale. (0080)