REGGIO CALABRIA «I sequestri di armi sono in forte aumento, ma questo non significa che ci sia stato un aumento della presenza di armi sul territorio, ma sicuramente che i controlli operati abbiano portato a risultati più evidenti». È un bilancio di segno positivo, che può vantare numeri più che raddoppiati rispetto al primo semestre dello scorso anno, quello che il tenente colonnello Gianluca Valerio, comandante del reparto operativo del Comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria, può tracciare delle armi rinvenute e sequestrate nei primi sei mesi del 2014. Sessantanove fucili e 26 pistole sequestrate con relativo munizionamento, circa 30 chili di esplosivo rinvenuto e messo in sicurezza insieme a un’ottica di precisione, 20 persone agli arresti, 4 denunciate a piede libero, sono questi i numeri messi insieme dai controlli effettuati dai militari da gennaio e a giugno.
«Facendo un calcolo meramente aritmetico – spiega il comandante – significa che non c’è stata settimana in cui non sia stato fatto un sequestro». Solo negli ultimi sette giorni, mentre a Condofuri i militari riuscivano a rinvenire un piccolo arsenale – un Ak 47, un uzi, un fucile a canne mozze e una carabina – a Rosalì un normale controllo amministrativo presso un negozio di frutta e verdura ha permesso ai militari, grazie anche all’aiuto delle unità cinofile, di rinvenire una pistola calibro 9 con caricatore completo e un fucile calibro 12, entrambi con matricola abrasa. E questi non sono che esempi.
Fucili, doppiette, armi da guerra come i kalashnikov – non destinati necessariamente a omicidi, ma anche a rendere «visibili e manifeste» le intimidazioni contro realtà economiche o industriali, ma anche armi destinate alla caccia di frodo: negli arsenali sequestrati, come «nei depositi più informali molto spesso occultati all’interno del territorio del demanio forestale» – specifica il comandante – i militari hanno trovato di tutto. Incluso, un ak-47 di fabbricazione cinese, che potrebbe far pensare – anche se non ci sono, almeno allo stato, evidenze concrete – all’apertura di nuovi canali di approvvigionamento. «Il traffico illecito di armi e munizioni, segue quello della droga e della tratta di esseri umani – spiega l’ufficiale – e considerando la sua vocazione transnazionale, non possiamo escludere che la ‘ndrangheta abbia sviluppato la capacità di interloquire direttamente con le organizzazioni nazionali e internazionali che lo gestiscono».
Gruppi che hanno trasformato i Balcani e il Corno d’Africa – flagellati nei decenni scorsi da conflitti della più varia natura – nei grandi supermarket illegali dell’armamento e presso i quali le ‘ndrine da tempo godono di ampio credito. Anche perché si tratta di ottimi clienti, capaci di dimenticare più o meno storiche rivalità per provvedere agli acquisti. «Sulla detenzione e l’uso delle armi – spiega ancora Valerio – esiste una grande collaborazione tra i clan». E se per fucili e armi pesanti si ricorre al mercato internazionale, diverso è invece il canale di approvvigionamento delle pistole – «tipiche armi da difesa o usate per agguati in città» – si spiega – che provengono principalmente dai furti in abitazione.
«Anche per questo nell’ultimo periodo sono state disposte verifiche a tappetto nei confronti di chi detiene legalmente un’arma, per verificare che sia correttamente custodita». Armi rubate, conservate in arsenali o occultate nelle campagne, spesso affidate agli armieri, personaggi spesso incensurati e per questo difficili da individuare, ma che per i clan sono fondamentali perché in grado di intervenire, modificare e curare quelle armi con cui le cosche misurano la propria capacità di controllare il territorio. Una capacità che attraverso controlli agli esercizi pubblico, perquisizioni a tappeto, verifiche su persone e mezzi, in particolare di soggetti di interesse operativo e sottoposti a misure restrittive, si è deciso di arginare.
A. C.
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