ROSARNO Non ha fatto neanche in tempo a festeggiare la clamorosa assoluzione in Appello al processo Cosa Mia, che Umberto Bellocco si è dovuto rimettere al lavoro. Ventuno anni di carcere sono lunghi e nonostante l’anziano patriarca non abbia mai smesso di impartire ordini e direttive, trasmessi all’esterno – testimoniano i video del Ros – dai familiari che regolarmente lo incontravano a colloquio, appena uscito dal carcere ha dovuto far sentire tutto il peso del suo carisma criminale per ristabilire gli equilibri nella “sua” Rosarno. Spogliata dei capi condannati a lunghe pene detentive, assottigliata nei ranghi dalle innumerevoli operazioni che l’hanno colpita, la cosca attendeva con ansia la scarcerazione dell’anziano Bellocco, come uno dei nipoti del boss, Umberto Emanuele Olivieri, confida a un amico in chat: «Hermano sta x uscire dal carcere mio zio che si chiama come me… E a lui devono dare conto tutta la Calabria». E lo zio non ha deluso le aspettative.
È quanto svela oggi l’operazione Sant’Anna, eseguita dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria, coadiuvati dai militari del Comando provinciale della guardia di finanza di Reggio Calabria, che ha portato al fermo del patriarca, come di Salvatore Barone, Giuseppe Ciraolo, Michele Forte, Elvira Messina, Giuseppe Spataro, Francesco Oliveri e Umberto Emanuele Oliveri.
Per gli inquirenti sono tutti responsabili a vario titolo di associazione mafiosa e porto e detenzione illegale di armi e munizioni, aggravati dalle finalità mafiose, perché tutti avrebbero collaborato alla rapida restaurazione dell’impero criminale che il boss Bellocco aveva visto vacillare. «Durante la sua detenzione – spiega il procuratore capo della Dda Federico Cafiero de Raho – il clan Bellocco aveva quasi perso il monopolio del comando, cedendolo in parte ai Pesce. Dopo la scarcerazione Umberto Bellocco ha recuperato il terreno perduto». Appoggiato da un esercito di nipoti – spiega il comandante del Ros di Reggio Calabria Gianluca Piasentin – «cresciuti nel mito dello zio detenuto», l’anziano patriarca si sarebbe immediatamente dato da fare per riattivare l’attività del clan, come per incontrare altri boss di pari peso criminale del circondario, come quel Teodoro Crea di Rizziconi che non riuscirà a incontrare solo perché colpito da una nuova misura cautelare.
A svelare a inquirenti e investigatori le manovre di Umberto Bellocco è stata la microspia piazzata nella sua abitazione. «Già prima della scarcerazione ci eravamo resi conto che il boss continuava a impartire ordini da dietro le sbarre, per questo quando è stato scarcerato eravamo già pronti a monitorare la situazione», spiega Piasentin. E nonostante quella cimice sia stata rinvenuta dopo poco più di quindici giorni «le risultanze investigative che sono state raccolte sono state più che sufficienti – afferma Cafiero de Raho – per giungere a questo provvedimento di fermo». Ascoltando l’anziano patriarca gli investigatori hanno infatti avuto modo di raccogliere innumerevoli elementi sui futuri progetti del clan, che sotto la guida del boss, “uomo di rispetto” per altri clan come i Caporosso della Sacra Corona Unita, mirava a riprendere il predominio su Rosarno, scalzando i Pesce. Un progetto per il quale il clan poteva contare su un proprio arsenale, che non avrebbe avuto alcuna difficoltà né esitazione ad ampliare, anche grazie ai proventi derivanti dai traffici di droga gestiti nel porto di Gioia Tauro. Un “ramo di attività” appaltato dal “capo” al nipote Umberto Emanuele Olivieri, già oggetto di approfondimenti investigativi da parte della guardia di finanza, perché individuato come quale reggente degli interessi della potente cosca nei traffici illeciti all’interno del porto di Gioia Tauro. Era lui, dice il comandante del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza, Domenico Napolitano «a gestire le diverse squadre, tutt’ora in corso di identificazione, che operavano all’interno dello scalo». A inchiodarlo, sono una serie di intercettazioni telematiche con altri soggetti impegnati nel traffico di stupefacenti, che a investigatori e inquirenti avrebbero fornito piste tutte da battere. Senza timore alcuno di essere intercettato, Oliveri – “Moicano” in chat – spiega al suo interlocutore che alcuni soggetti che importavano droga dall’Ecuador avrebbero avuto un accordo con un gruppo di finanzieri impiegati al porto, grazie al quale sarebbero riusciti a far transitare grandi quantità di stupefacenti, in cambio del rinvenimento di un piccolo carico. Una ipotetica “squadra” sulla quale Procura e forze dell’ordine hanno intenzione di fare piena luce.
Alessia CanditoAssociazione di tipo mafioso, porto e detenzione illegale di armi e munizioni, aggravati dalle finalità mafiose è con queste accuse che la Dda di Reggio Calabria ha chiesto il fermo di otto presunti affiliati ai clan Pesce e Bellocco. Dalle prime ore di questa mattina, i Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Reggio Calabria, coadiuvati dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, stanno eseguendo il fermo nei confronti degli otto indagati. Al centro delle indagini le dinamiche criminali delle cosche ‘ndranghetistiche rosarnesi all’indomani della scarcerazione dello storico boss, Bellocco Umberto, dopo 21 anni di detenzione, e gli interessi del sodalizio nel traffico di armi e stupefacenti.
L’operazione è l’esito di due distinte attività investigative, scaturite da una parte dagli approfondimenti sviluppati per rintracciare l’ormai ex latitante Giuseppe Pesce, reggente dell’omonimo clan dall’arresto del fratello Francesco, costituitosi nel maggio del 2013, dopo l’arresto della moglie Ilenia Bellocco e del suo braccio destro, Domenico Sibio, e dall’altra per verificare gli assetti criminali nella Piana di Gioia Tauro all’indomani della scarcerazione del boss Umberto Bellocco, storico patriarca dell’omonimo clan. E dopo oltre vent’anni di detenzione, l’anziano boss non avrebbe perso tempo. Appena tornato nella “sua” Rosarno, grazie anche alla collaborazione dei familiari e sodali – oggi colpiti dal provvedimento di fermo – si sarebbe dato da fare per riaffermare la propria leadership, anche attraverso il ripristino di preesistenti relazioni con gli esponenti apicali di altre compagini mafiose e la riorganizzazione delle attività illecite della cosca sul territorio rosarnese. Allo scopo, il boss Bellocco e gli altri affiliati si sono attivati per reperire armi necessarie a riaffermare il proprio prestigio criminale e la propria capacità di controllare il territorio. Acquisti finanziati anche grazie ai proventi del traffico di sostanze stupefacenti, in larga parte gestito da Umberto Emanuele Oliveri, nipote dell’anziano boss, indicato dallo zio quale reggente degli interessi della potente cosca di ‘ndrangheta nei traffici illeciti all’interno del porto di Gioia Tauro.
Alessia Candito
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