REGGIO CALABRIA Una serata in discoteca, qualche comportamento sopra le righe, un incidente diplomatico-mafioso sfiorato per un pelo e una sparatoria sfumata per mancanza di armi. È il riassunto della “tranquilla” serata di Michele Forte, uno dei presunti affiliati al clan Bellocco fermati oggi dalla Dda di Reggio Calabria. Succede nelle vacanze natalizie, a cavallo tra il 2013 e il 2014. E le microspie sono in grado di catturare il racconto di quella notte e della triangolazione Rosarno-Catanzaro-Rosarno con tanto di scazzottata e strascichi per le famiglie (e i clan) interessati. Per gli inquirenti non si tratta di una normale lite fra ragazzi (Forte ha solo 23 anni): «I soggetti che lo avevano aggredito erano legati a gruppi criminali della zona».
Umberto Bellocco è uno che al rispetto ci tiene parecchio. Basterebbero solo i suoi due “nomi di battaglia” per farsene un’idea: “Asso di bastoni” oppure “Ombra della notte”. Un capotribù che si occupa di tutto. Senza trascurare i comportamenti dei giovani del suo clan. Quando viene a sapere dell’aggressione è fuori di sé: nessuno aveva pensato ad avvertirlo quando era in carcere, a fine 2013. Glielo dicono solo nell’aprile dell’anno successivo. Quando scopre che a picchiare il “suo” ragazzo sono stati dei lametini «appartenenti – secondo gli inquirenti – alla criminalità organizzata» e che, per di più, sono persone che conosce («ogni anno a Natale si presentavano con doni per “rispetto”), va fuori dai gangheri. Perché queste cose vanno risolte. E dunque la macchina organizzativa della famiglia Bellocco si mette in moto. Il risultato arriva in poco tempo. Uno dei nipoti del boss va a dare un’occhiata ai filmati delle telecamere di videosorveglianza della discoteca e racconta – così si evince da uno dei dialoghi captati dalle cimici – «che, effettivamente, Michele Forte si era comportato in modo non consono».
Il punto è il rispetto: «Mi hanno mandato, appena hanno saputo che sei parente mio, si sono scusati, mi hanno mandato le scuse, che io praticamente gli ho detto che non li accetto, che poi parlano con me, perciò praticamente ti dipingono colpevole e se hai fatto un gesto dimmelo». Il giovane e l’anziano hanno comportamenti diversi ma parlano nello stesso codice. Ed è un codice fatto di violenza e rappresaglie. Che non si sono concretizzate soltanto per caso: «Io gli ho detto in faccia al proprietario della discoteca quella sera stessa – dice Forte –, vi è andata bene che non sono venuto… Se no uno cadeva stasera. (…) Io cadevo pure ma qualcuno di voi lo stutavo». Per i magistrati, il riferimento del 23enne è abbastanza esplicito: «Se quella sera si fosse recato in discoteca armato avrebbe ammazzato qualcuno». E la risposta di “Asso di bastoni” è, ancora una volta, un piccolo compendio di mafiosità: «E tutti li cotulavi (uccidevi, ndr) se l’avevi in mano. (…) Poi te ne venivi e poi la discutevamo». (0020)
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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