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Giornalista sotto scorta, ci sono già dei nomi nel fascicolo della Procura

REGGIO CALABRIA Ci sono anche dei nomi nel fascicolo che la Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha aperto sul progetto di attentare all’incolumità del giornalista Michele Albanese, co…

Pubblicato il: 21/07/2014 – 15:23
Giornalista sotto scorta, ci sono già dei nomi nel fascicolo della Procura

REGGIO CALABRIA Ci sono anche dei nomi nel fascicolo che la Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha aperto sul progetto di attentare all’incolumità del giornalista Michele Albanese, corrispondente dalla Piana di Gioia Tauro per l’agenzia Ansa e per il Quotidiano del Sud. Altro punto certo risiede nel movente: Albanese ha firmato lo “scoop” sull'”inchino” imposto alla statua della Madonna delle Grazie in corrispondenza dell’abitazione del patriarca ergastolano Giuseppe Mazzagatti.
La Procura distrettuale antimafia ha anche acquisito agli atti dell’inchiesta tutti i filmati redatti da diversi giornalisti nei giorni successivi al grave episodio, tra questi anche quello nel quale al collega Lucio Musolino veniva rivolta una frase solo superficialmente neutra ma in realtà assai carica di significati nel linguaggio dei “bravi ragazzi”. Infatti, l’invito rivolto a Lucio Musolino ad allontanarsi dal sagrato della chiesa di Oppido veniva accompagnato da un ammonimento: «Vediamo di restare calmi tutti, altrimenti qualcuno rischia di farsi male».
Evidentemente nei giorni successivi “qualcuno” ha invece perso la calma, dando ordini precisi perché si pianificasse un attentato contro il collega Michele Albanese. Fortunatamente le forze di polizia hanno intercettato la catena di trasmissione delle cosche e il mandato dei boss a colpire, così come il nome del bersaglio sono finiti incisi su un nastro che subito è stato portato a conoscenza del procuratore Federico Cafiero de Raho, immediatamente dopo è scattata la decisione della Prefettura di mettere sotto scorta il collega.
Fin qui gli aspetti direttamente legati alla cronaca dei fatti, gravissimi, e all’evoluzione delle indagini che ne sono seguite. C’è da sperare che almeno adesso si smetta di “minimizzare” rispetto alla portata, dirompente, della sfida che la Chiesa ha lanciato agli “uomini della ‘ndrangheta”. Sappiamo bene che la Chiesa non lancia sfide e che il Papa ha inteso, nello scomunicare gli uomini della ‘ndrangheta, lanciare un appello al ravvedimento. Ma a quelle parole stanno cominciando a seguire i fatti, la Chiesa locale dovrà adeguarsi alle indicazioni del Santo Padre e questa per gli uomini della ‘ndrangheta è una sfida aperta, durissima, insopportabile.
La falsa devozione, gli equivoci padrinaggi, il condizionamento dei riti religiosi, uniti a secoli di sottovalutazioni e connivenze “laiche”, senza questi aspetti la ‘ndrangheta sarebbe una “semplice” organizzazione criminale come le altre, privare i suoi capi del rispetto e del prestigio di cui in paese hanno sempre goduto, vale molto più di una retata o di un arresto. Il carcere “non mangia gli uomini”, la perdita del prestigio nel loro “locale” è invece un virus mortale.

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