A salvarsi perché le loro posizioni sono state stralciate allo stato sarebbero solo in due, Raffaella De Carolis, la madre dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, e il legale rappresentante di una delle società della galassia dell’ex politico armatore Antonio Chillemi. Per tutti gli altri, tanto quelli tuttora in regime di custodia – Claudio Scajola, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo e il factotum dell’ex politico armatore, Martino Politi, finiti ai domiciliari dopo un breve periodo di custodia dietro le sbarre – come le segretarie dei due politici, Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi – inizialmente sottoposte ai domiciliari e oggi indagate a piede libero – la Procura ha inoltrato al gip istanza di giudizio immediato. Una misura resa necessaria dai tempi più ristretti di ammissibile custodia cautelare previsti dalla procedura, a causa del mancato riconoscimento dell’aggravante mafiosa in sede di emissione di ordinanza di custodia cautelare, e che vincola i pm a quella contestazione, ma – filtra dalla Procura – non implica una rinuncia a quella contestazione che verrà difesa di fronte al Tribunale del Riesame, all’udienza fissata il prossimo primo ottobre.
LA PAROLA AL GIP Nel frattempo, toccherà al gip Barbara Bennato se avallare la richiesta dei magistrati della Dda e spedire a giudizio immediato Scajola, la Rizzo, Politi, insieme alle segretarie dei due politici, Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi. A vario titolo sono tutti accusati di aver aiutato l’ ex deputato di Forza Italia, Amedeo Matacena, a sottrarsi all’esecuzione di una condanna per mafia, nonché ad occultare il suo patrimonio. A inchiodarli, le innumerevoli conversazioni registrate fra Scajola e la Rizzo, come gli altrettanto monitorati incontri, spesso mediati e organizzati dalle segretarie dell’ex ministro e di Matacena, rispettivamente Roberta Sacco e Maria Grazia Fiordelisi, oggi entrambe indagate assieme alla madre di Matacena, Raffaella De Carolis, e ad Antonio Chillemi, collaboratore dell’ex parlamentare forzista reggino.
Ascoltati dagli investigatori, i due non solo discutevano di delicate operazioni finanziarie destinate ad occultare l’immenso patrimonio dell’armatore – oggi tutte oggetto di approfondimento da parte della Dda – ma soprattutto della necessità di individuare «uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l’estradizione del Matacena o la rendesse quanto meno molto difficile e laboriosa. Tale Stato – spiega il gip – lo Scajola lo individuava nel Libano, impegnandosi con personaggi esteri di rango istituzionale per ottenere tale appoggio per tramite di importanti amicizie (Vincenzo Speziali junior, oggi anche lui indagato, ndr)». Un’esigenza – si legge ancora nell’ordinanza – generata da un timore preciso: «Che il 20.2.2014 fosse emessa la sentenza nel procedimento pendente a Dubai, cui sarebbe potuta conseguire l’espulsione da quel Paese, con il rischio di essere tratto in arresto e trasferito in Italia per scontare la pena».
LA PROTESTA DEI LEGALI DI LADY MATACENA Appreso della richiesta di misura, con una nota i legali della Rizzo, Candido Bonaventura e Carlo Biondi hanno immediatamente replicato, annunciando di aver inviato al gip «una memoria difensiva con la quale abbiamo illustrato l’inammissibilità della richiesta (comunque formulata) e ne abbiamo chiesto il rigetto». E pur premettendo che «continuiamo a mantenere un atteggiamento di doveroso rispetto nei confronti dei rappresentati della Pubblica Accusa, delle loro prerogative e della loro attività», i legali non esitano a sottolineare che «questa nuova iniziativa – assunta pochissimi giorni dalla scadenza dei termini di custodia cautelare – a nostro giudizio appare avere l’unico obbiettivo di mantenere ferma la misura a carico della nostra cliente e di altri due indagati, peraltro in pendenza di due appelli della difesa aventi ad oggetto la richiesta di annullamento della misura (che saranno discussi il 6/8 innanzi al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria) e di quello – proposto dall’Ufficio di Procura- rinviato all’udienza dell’l/l0». In sintesi, per i legali si tratterebbe di una «forzatura giuridica che, peraltro, discrimina di fatto la posizione della nostra assistita – ed altri due indagati – rispetto a quella di altri che avrebbero concorso nei medesimi reati».
LE INDAGINI PROSEGUONO Nel frattempo però, continuano gli approfondimenti investigativi scaturiti dalle perquisizioni disposte in seguito all’esecuzione dell’ordinanza a carico degli otto indagati. Oltre alla galassia di cointeressenze economiche e imprenditoriali che il network di Scajola e Matacena – stando a quanto emerso dalle carte sequestrate nell’archivio della segretaria dell’ex armatore – ha sviluppato in campi eterogenei che vanno dall’eolico agli immobili prefabbricati, tuttora in via di sviluppo rimane infatti un altro filone di indagine. Il progetto di “mettere in salvo Matacena” – ipotizzano infatti il pm Giuseppe Lombardo e il sostituto della Dna Francesco Curcio – non sarebbe stato dettato semplicemente da interessi personali o familiari, ma necessario alla tenuta di un’intera organizzazione composta da uomini di Stato, imprenditori e faccendieri che si sarebbe messa in moto per tutelare la libertà e l’operatività di Matacena, quale – ipotizzano i pm – «stabile interfaccia della ‘ndrangheta, nel processo di espansione dell’organizzazione criminale, a favore di ambiti decisionali di altissimo livello». Un’organizzazione, o meglio una «associazione per delinquere segreta collegata all’associazione di tipo mafioso e armata denominata “‘ndrangheta” da rapporto di interazione biunivoca al fine di estendere le potenzialità operative del sodalizio di tipo mafioso in campo nazionale ed internazionale», che gli inquirenti hanno iniziato a ricostruire proprio a partire dalle innumerevoli telefonate fra l’ex ministro Scajola e la donna. (0070)
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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