"Il comandante" pizzicato in Marocco
GIOIA TAURO Per i magistrati, sarebbe stato uno dei principali terminali imprenditoriali e finanziari di cui la cosca Molè nel tempo si sarebbe servita per riciclare e investire gli enormi proventi d…

GIOIA TAURO Per i magistrati, sarebbe stato uno dei principali terminali imprenditoriali e finanziari di cui la cosca Molè nel tempo si sarebbe servita per riciclare e investire gli enormi proventi del porto di Gioia Tauro, ma dal dicembre 2009, quando il suo nome è apparso fra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare Maestro, Giorgio Hugo Balestrieri si è convertito in un inavvicinabile fantasma. Protetto da passaporto statunitense. O almeno tale è stato fino a qualche ora fa, quando gli investigatori sono finalmente riusciti a stringergli le manette ai polsi. Di certo, allo stato si sa solo che lo hanno pizzicato in Marocco – i dettagli della cattura sono per adesso “top secret” – ma a quanto pare sarebbero già partite tutte le procedure per l’estradizione in Italia, dove il pm Roberto di Palma da tempo ha in serbo un’infinita serie di domande per quello che potrebbe essere definito uno dei personaggi più oscuri e inquietanti finiti nella rete dell’antimafia reggina.
TRA P2 E SERVIZI AMERICANI Ufficiale della marina militare dal 1963 al 1981 – come lui stesso indica orgogliosamente nel suo profilo Linkedin – Balestrieri sarebbe uno degli affiliati alla loggia P2 di Licio Gelli, con tessera numero 907, smascherato dalla perquisizione del marzo 1981 a Castiglion Fibocchi. Stando a quanto avrebbe riferito il faccendiere Elio Ciolini – divenuto noto per il suo presunto coinvolgimento nelle indagini sulla strage di Bologna –, Balestrieri farebbe parte anche della loggia riservata “Montecarlo”, «un potentato economico – si legge nella relazione conclusiva della commissione – dominato dalle personalità di Andreotti, Agnelli, Calvi, Monti, Ortolani, Gelli e dal capo del gruppo editoriale Rizzoli e vari altri distinti fratelli fondatori, esecutivi e attivi». Per le diverse Procure che su Balestrieri si sono ritrovate ad indagare, il “comandante” per lungo tempo avrebbe lavorato come agente dei servizi segreti americani in Italia, o meglio in Calabria, nonostante dal 1981 sia formalmente residente a New York, dove si occupa di tecnologie militari e di sicurezza ed è uomo in vista nella comunità, tanto da figurare come vice presidente del Rotary Club della città. Ma Balestrieri non sembra aver reciso i contatti né con l’Italia, né con la Calabria. E proprio qui, il pm Roberto Di Palma ne ha scovato le tracce braccando gli uomini del clan Molè finiti al centro dell’inchiesta “Maestro”.
L’AFFARE VILLA VECCHIA Proprio tramite “il comandante” e i suoi soci, Angelo Boccardelli, segretario dell’ex ambasciatore di San Marino Giacomo Maria Ugolini, gran maestro della loggia del Titano, che per questo affare ha rimediato una condanna a sette anni di reclusione – e Giuseppe Fortebracci (morto prima della conclusione del processo), gli uomini del clan hanno tentato di reinvestire larga parte dei profitti illeciti provenienti dal contrabbando di merci contraffatte al porto di Gioia Tauro, nella gestione di una sontuosa struttura alberghiera di Monte Porzio Catone, in provincia di Frascati. Struttura in possesso di Balestrieri e altri tramite diverse società a loro riconducibili e messa a disposizione dell’imprenditore del clan Molè, Cosimo Virgiglio, testa di ponte del clan nell’affare. Una “disponibilità” che per i magistrati della Dda vale una contestazione di concorso esterno in associazione mafiosa, perché – stando agli inquirenti – tutti avrebbero offerto «un contributo concreto, specifico e determinante per il perseguimento delle finalità della ‘ndrina Molè – della quale pur tuttavia non facevano parte organicamente – con particolare riferimento alla acquisizione da parte della ‘ndrina medesima della struttura alberghiera Villavecchia di Frascati, nonché al controllo da parte della ‘ndrina medesima sulle attività economiche che si svolgevano nell’area portuale di Gioia Tauro, ivi comprese quelle connesse alle operazioni doganali e di trasporto delle merci oggetto di import-export soprattutto dalla Repubblica popolare di Cina».
BALESTRIERI AVREBBE SAPUTO Un business che i tre avrebbero portato avanti – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare dell’epoca – nonostante sarebbero stati «perfettamente consapevoli di chi è il Virgiglio e di cosa e di chi egli rappresenti; essi non esitano ad entrare in contatto con le ‘ndrine di Gioia Tauro (Molè) e Rosarno (Pesce, Bellocco e Cacciola) per portare avanti l’affare». Per i magistrati, Boccardelli, Fortebracci e Balestrieri, «sono soggetti cui l’associazione per delinquere di stampo mafioso si era rivolta per risolvere il problema del reinvestimeno del danaro (ed anche della sistemazione lavorativa della famiglia di Rocco Molè) ed essi, per quanto si coglie dalle emergenze indiziarie (delle intercettazioni in particolare), erano perfettamente consapevoli dell’apporto prestato all’associazione medesima (come denota la cacciata dei precedenti titolari della struttura alberghiera), ciò almeno fino a quando gli interessi dell’una e degli altri non iniziavano a divergere, sì da divenire essi stessi un ostacolo dell’associazione cui un tempo si appoggiavano e subirne le conseguenze. Da qui i tentativi di ricorrere ad altri, simili, canali, per mantenere le condizioni di controllo sulla struttura».
BALESTRIERI: IO, AGENTE IN MISSIONE Accuse che Balestrieri negli anni ha respinto al mittente, facendo sapere – tramite il suo legale – da New York, di essere un agente entrato in contatto con persone sospette solo perché impegnato in un’operazione di intelligence per conto di un organismo, mai meglio specificato. Una versione cui i pm non hanno mai creduto più di tanto, ma sulla quale molto probabilmente chiederanno dettagliate informazioni a Balestrieri, così come su quel Cristo ligneo attribuito a Michelangelo e nella disponibilità della fondazione dedicata all’ambasciatore Ugolini di cui Balestrieri e Boccardelli erano ai vertici, ma che non sarebbe stato mai più ritrovato nel corso delle perquisizioni. Una statua preziosa, per alcuni chiave di un fantomatico “Codice Michelangelo”, messaggio esoterico nascosto per secoli, per altri “il Cristo di Michelangelo”, una sorta di Santo Graal della storia dell’arte, per altri ancora un semplice falso, di cui Balestrieri avrebbe affermato di essere in possesso, finita al centro delle indagini di diverse procure fra l’Italia e San Marino.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it