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«Non ho avuto giustizia, restituisco la tessera elettorale»

SIDERNO «Egregio onorevole ministro, in allegato troverà la mia tessera elettorale con conseguenziale volontaria privazione del diritto di voto». E secco l’attacco della lettera che Mario Congiusta h…

Pubblicato il: 04/11/2014 – 10:39
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«Non ho avuto giustizia, restituisco la tessera elettorale»

SIDERNO «Egregio onorevole ministro, in allegato troverà la mia tessera elettorale con conseguenziale volontaria privazione del diritto di voto». E secco l’attacco della lettera che Mario Congiusta ha spedito al ministro della Giustizia Andrea Orlando. Da anni combatte per avere giustizia e verità attorno all’uccisione del suo figliolo Gianluca e di tanti altri delitti impunemente portati a termine dalla ‘ndrangheta. Lo fa con stile, ma anche con grande fermezza: «Il mio estremo gesto – spiega nella lettera a Orlando – vuole essere una civile protesta, per la scarsa considerazione che la politica e le istituzioni hanno nei confronti dei cittadini che chiedono che vengano colmati vuoti legislativi di particolare importanza per la giustizia e per l’incolumità delle persone». E ricorda la sua battaglia: «Chi le scrive è il padre di un giovane imprenditore calabrese, Gianluca Congiusta, vittima innocente della criminalità organizzata, ucciso a Siderno, da un criminale indultato, tale Tommaso Costa, il 24 maggio 2005. Tale assassino, è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Locri per l’omicidio di mio figlio oltre che per associazione di stampo mafioso e altro. Tale decisione è stata confermata dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria. Ciononostante, la seconda sezione della Cassazione, dopo una brevissima camera di consiglio, nonostante l’articolata requisitoria del procuratore generale, che chiedeva la conferma dell’impugnata sentenza, annullava con rinvio, relativamente al solo omicidio, a diversa sezione della Corte d’assise d’appello per un nuovo giudizio». La prima reazione del padre di Gianluca, all’annullamento di ben due sentenze di condanna, è di scoramento. Poi, però, la voglia di combattere questa battaglia riprende. «Ritiene il sottoscritto, che tali diversità sentenziali tra i vari organi di giustizia, siano dovute ad un vuoto legislativo da me segnalatole via e-mail alcuni mesi orsono. Stessa segnalazione ho fatto all’onorevole Rosi Bindi, nella qualità di presidente della commissione parlamentare Antimafia, all’onorevole Matteo Renzi, all’onorevole Magorno quale componente della commissione Giustizia e commissione Antimafia e a decine di altri parlamentari di vari partiti che non sto ad elencarle, con una sola risposta da parte di Fratelli d’Italia, unico partito con una sezione dedicata alle vittime». Eppure l’intoppo rilevato dalla Cassazione è disarmante quanto chiaro. Mario Congiusta lo sintetizza così: «Come lei sicuramente saprà, la normativa vigente regolamenta l’utilizzabilità come prova solo delle intercettazioni ambientali e telefoniche, mentre non regolamenta l’utilizzabilità delle lettere intercettate ai detenuti. Con sentenza del 19/4/2012, depositata il 18 luglio 2012, le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno statuito l’illegittimità dell’intercettazione della corrispondenza di un detenuto effettuata, nel corso delle indagini preliminari, mediante fotocopiatura della stessa che veniva poi regolarmente inoltrata. La Suprema Corte, ricordando che l’articolo 15 della Costituzione tutela la libertà e segretezza della corrispondenza che può essere limitata solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria “con le garanzie stabilite dalla legge”, ha rilevato che non può applicarsi analogicamente, in questo caso, la disciplina dettata per le intercettazioni telefoniche». Poi sottolinea il vuoto legislativo: «È facilmente comprensibile che, se il vuoto normativo non viene tempestivamente eliminato, il crimine organizzato continuerà ad avere a sua disposizione un mezzo di comunicazione, semplice ma efficace e, soprattutto, assolutamente inviolabile dagli organi inquirenti, che consentirà, ad esempio, anche ai “boss” detenuti, di continuare ad impartire ordini e direttive agli affiliati». Infine le sue amare conclusioni: «Non posso sapere come finirà il processo che mi riguarda, ma di un fatto sono certo, che a distanza di quasi dieci anni, corro il rischio di non avere quella giustizia che mi è dovuta per colpa grave di chi è preposto, e pagato, a legiferare e colmare vuoti segnalati. Non so se lei, onorevole ministro vorrà provvedere o se intenderà rispondermi ma ne nutro la speranza che nessuno può togliermi».

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