"Alta tensione 2", Plutino condannato a 12 anni di carcere
REGGIO CALABRIA Fuori dall’aula bunker di Reggio Calabria le facce sono scure. Nessuno piange, nessuno grida. La consegna del silenzio che era arrivata prima che si aprissero le porte dell’aula…

REGGIO CALABRIA Fuori dall’aula bunker di Reggio Calabria le facce sono scure. Nessuno piange, nessuno grida. La consegna del silenzio che era arrivata prima che si aprissero le porte dell’aula B1 per la lettura della sentenza è stata rispettata. Nessuno ha fatto scenate, neanche un singhiozzo soffocato si è levato dai banchi in cui sedevano i parenti degli imputati o dalle gabbie. Ma dopo che la scure del tribunale si è abbattuta sugli imputati, primo fra tutti l’ex assessore comunale Pino Plutino – finito in carcere con l’accusa di essere il referente istituzionale del clan Caridi-Borghetto-Zindato – punito con 12 anni di reclusione e 3.600 euro di multa, i familiari degli imputati quasi placcano i legali. Vogliono sapere, capire. Le condanne inflitte – al termine del processo “Alta tensione 2” – sono state per tutti pesantissime.
LE CONDANNE
In linea con le richieste avanzate dal pm Stefano Musolino, i giudici hanno infatti condannato a 22 anni e sei mesi di reclusione Domenico Condemi, condannato a pagare anche 4.800 euro di multa, mentre è di 10 anni di reclusione la pena inflitta al fratello Filippo. Dovranno passare 11 anni e 6 mesi dietro le sbarre Vincenzo Rotta e Rosario Calderazzo, mentre è di 11 anni la pena decisa per Vincenzo Lombardo. Rimedia una condanna a 10 anni e 6 mesi Giuseppe Pasquale Esposito, mentre sei mesi in meno di carcere vanno a Natale Cuzzola, condannato a 10 anni. Per la decisione del Tribunale, dovranno scontare 9 anni e 6 mesi Diego Quartuccio e Leo Caridi, mentre condanne minori sono andate a Natale Paolo Alampi, condannato a 5 anni più 1.300 euro di multa, e Antonio Casili e Diego Rosmini entrambi puniti con 4 anni di reclusione e 500 euro di multa. Incassano – quasi a sorpresa -un’assoluzione solo Bruno Doldo, il poliziotto accusato di aver soffiato agli uomini del clan Caridi Borghetto-Zindato, particolari sull’indagine all’epoca in corso a loro carico, e il boss Pasquale Libri.
Gli imputati, a vario titolo, tutti quanti sono stati condannati a risarcire il Comune di Reggio Calabria e la Regione Calabria, con una somma che dovrà essere stabilita in sede civile, ma per la quale è stata già fissata una provvisionale pari a un milione di euro per Palazzo San Giorgio e 300mila euro per Palazzo Alemanni.
DIBATTIMENTO COMPLESSO E COLPI DI SCENA
Dal tribunale arriva dunque una sostanziale conferma dell’impianto accusatorio costruito dal pm Musolino nel corso di un dibattimento lungo e combattuto, nel corso del quale non sono mancati i colpi di scena come l’apertura di un fascicolo a carico dell’ex segretario questore del consiglio regionale Gianni Nucera, conclusasi con il rinvio a giudizio per corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose per quello che è stato fin dal principio il principale accusatore di Plutino. Era stato proprio Nucera a mettere nei guai il suo ex pupillo, accusandolo di aver fatto da mediatore fra lui e i suoi cugini, i fratelli Condemi – oggi riconosciuti come espressione del clan Caridi, per l’assunzione di un membro della famiglia. Scartato Domenico Condemi perché inadatto al ruolo, la scelta era caduta sulla nipote dei due, Maria Cuzzola, per la quale l’attuale segretario questore sarebbe stato a suo dire vittima di indicibili pressioni, tanto da arrivare a temere «ripercussioni per la mia famiglia, sia di ordine psicologico, sia per il fatto che Domenico potesse reagire in maniera non adeguata». Affermazioni smentite nel corso del dibattimento non solo da Plutino, e dai Condemi, ma anche dai collaboratori di Nucera, e ribaltate dal padre dei due fratelli oggi condannati, che in aula aveva rivelato: «Nel 2000 Nucera venne a chiedermi appoggio elettorale (…) ho sempre fatto politica e non ho mai voluto niente ma con Nucera ho parlato chiaro: io ti aiuto ma devi considerare che ho due figli. Nei prossimi cinque anni un posto, un qualcosa. Sono passati 5 anni, poi ne sono passati altri cinque e siamo arrivati a dieci. Ma da Nucera non ho avuto niente».
LE VANE SPERANZE SUSCITATE DALL’INCRIMINAZIONE DI NUCERA
Affermazioni che avevano indotto all’epoca il pubblico ministero ad aprire un fascicolo, arricchitosi nel corso dell’istruttoria con le testimonianze di molti ex collaboratori del politico che avevano confermato il rapporto – datato, strutturato, di lungo corso e autonomo rispetto alla collaborazione con Plutino – fra l’ex segretario questore del consiglio regionale e quella famiglia che il politico si era limitato a definire di “grandi elettori”. Una circostanza che aveva fatto ben sperare le difese – in primis i legali di Plutino, gli avvocati Andrea Alvaro e Marco Gemelli – che nell’incriminazione di Nucera avevano letto un’affermazione della propria strategia difensiva. Fin dall’inizio del dibattimento, i legali hanno infatti tentato di dimostrare che l’appoggio elettorale fornito dai fratelli Condemi fosse dovuto a ragioni familiari, piuttosto che alle strategie politiche delle potenti ‘ndrine della zona, sostenendo che Plutino avrebbe solo pagato il crescente successo elettorale, che all’epoca rischiava di mettere in ombra l’altro campione di preferenze della zona, l’attuale segretario questore del consiglio regionale, Gianni Nucera.
CONFERMATO L’IMPIANTO ACCUSATORIO
Di tutt’altro avviso – oggi condiviso dal tribunale – il pm Musolino, per il quale sarebbero state le ‘ndrine che controllano i quartieri San Giorgio Extra, Boschicello, via Pio XI, Modena, a prodigarsi per la rielezione di Plutino, ricatapultato a Palazzo San Giorgio nel 2011, con un’ondata di consensi, che lo hanno trasformato da semisconosciuto consigliere di periferia, transitato dall’Udc al Pdl, a campione delle preferenze, proiettato nell`Olimpo dei primi cinque eletti in città. Un appoggio non dettato semplicemente da ragioni di opportunità o convenienza, ma perché Pino Plutino sarebbe uno di loro, un affiliato. Un’accusa cristallizzata nella rettifica del capo di imputazione chiesta dal pm in sede di requisitoria, in ragione della quale l’ex assessore del Comune di Reggio Calabria è stato riconosciuto colpevole di associazione mafiosa.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it