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Caso Scajola, i Matacena e le 'ndrine

REGGIO CALABRIA È un quadro inquietante che traccia una linea logica, coerente e senza sbavature tra la pirotecnica attività finanziaria dei coniugi Matacena e gli affari sviluppati da una delle lo…

Pubblicato il: 11/12/2014 – 13:48
Caso Scajola, i Matacena e le 'ndrine

REGGIO CALABRIA È un quadro inquietante che traccia una linea logica, coerente e senza sbavature tra la pirotecnica attività finanziaria dei coniugi Matacena e gli affari sviluppati da una delle loro società con le ditte espressione delle più note cosche di Reggio Calabria, quella che emerge dalla modifica del capo di imputazione comunicata dal pm Giuseppe Lombardo al gup Adriana Trapani nell’udienza filtro fissata oggi per gli imputati del cosiddetto caso Scajola che hanno chiesto il rito abbreviato. Una decisione su cui è possibile che i legali di Amedeo Matacena, della moglie Chiara Rizzo, del collaboratore dell’ex politico Martino Politi, come della segretaria dell’ex ministro Claudio Scajola, Roberta Sacco, facciano marcia indietro il prossimo 18 dicembre, chiedendo l’ammissione al rito ordinario. O almeno questa sembra per tutti la scelta obbligata di fronte ad un quadro accusatorio che non solo permette alla pubblica accusa una nuova contestazione dell’aggravante mafiosa a carico di tutti gli imputati, ma ne peggiora decisamente la posizione.

 

MATACENA, ELEMENTO INDISPENSABILE PER I CLAN  Alla base del procedimento che li vede alla sbarra perché accusati di aver aiutato Amedeo Matacena a sottrarsi a una condanna definitiva per mafia, come a occultare il suo immenso patrimonio non ci sono soltanto le innumerevoli conversazioni e gli incontri necessari per discutere del progetto registrati fra Scajola e la Rizzo, o gli incroci societari e le operazioni finanziarie che hanno permesso a Matacena di spostare la titolarità di diverse società, con sede nei più diversi paradisi fiscali, ma anche le prove della finalità di quelle operazioni: tutelare gli affari con i clan. Fin dal principio, il pm Giuseppe Lombardo era stato chiaro: l’obiettivo della rete che ruota attorno all’ex politico armatore era «proteggere economicamente uno dei più potenti e influenti concorrenti esterni della ‘ndrangheta reggina – visto il rilevantissimo ruolo politico ed imprenditoriale rivestito dal Matacena e per questa via, agevolare il complesso sistema criminale, politico ed economico, riferibile alla ‘ndrangheta reggina, interessata a mantenere inalterata la piena operatività del primo e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita da molteplici società ed aziende utilizzate per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali dal predetto, garantite a livello regionale e nazionale». Così si sarebbero spiegate – secondo l’accusa – le operazioni che avrebbero visto la Rizzo agire come longa manus dell’ex parlamentare di Forza nelle complicate transazioni finanziare, scadenzate sulla base del complicato e lungo iter dei procedimenti a carico di Matacena. Così si potrebbero comprendere le parallele manovre – che sarebbero state messe in atto dalla donna con il supporto dell’ex ministro Scajola e della sua infinita rete di contatti – necessarie per individuare «uno Stato estero che evitasse per quanto possibile l’estradizione o la rendesse quanto meno molto difficile e laboriosa». Oggi, nel nuovo capo di imputazione, potrebbero essere messe nero su bianco anche l’obiettivo concreto di tali operazioni.

 

IL LABIRINTO COGEM  Per il pm Lombardo, il complesso sistema di schermature sarebbe infatti destinato a «proteggere economicamente Matacena Amedeo Gennaro, quale soggetto in grado di fornire un determinante e consapevole apporto causale alla ‘ndrangheta reggina attraverso lo sfruttamento del suo rilevantissimo ruolo politico ed imprenditoriale e, per questa via, agevolare il più ampio sistema criminale, imprenditoriale ed economico, riferibile alla predetta organizzazione di tipo mafioso, a cui favore il Matacena forniva il proprio costante contributo». Un contributo misurabile in soldoni e che è pari agli appalti che la Cogem avrebbe “regalato” ai più noti clan reggini. La società – hanno scoperto i segugi delle Dia – attraverso un’intricata schermatura finanziaria, dal 29 dicembre 2000 – quando la Amadeus spa le girava tutte le quote di partecipazione detenute – sarebbe controllata dalla “A&A”, la cui proprietà è schermata da una fiduciaria lussemburghese, motore immobile di tanti satelliti della galassia Matacena. Formalmente invece, la Cogem è amministrata dalla segretaria dei due coniugi Maria Grazia Fiodelisi – per questo destinataria insieme alla Rizzo di una nuova accusa di intestazione fittizia di beni – mentre la titolarità delle quote è formalmente detenuta da Giuseppe Pratticò, storico collaboratore di Matacena e con lui imputato nel processo Mozart. In sintesi, nonostante i coniugi non figurassero in alcun modo nell’assetto societario, tutto si ricondurrebbe direttamente a loro e a loro entourage.

 

GLI INTERESSI MATERIALI  Hanno lavorato giorno e notte e in tempi record, ma adesso gli uomini della Dia ne avrebbero le prove. La società dei Matacena, impegnata nei grandi appalti del modello Reggio, avrebbe chiamato a lavorare con sé tutte le cosche reggine. La Cogem avrebbe infatti, secondo gli inquirenti, rapporti stabili e strutturali con la Si.ca., sulla base di risultanze processuali riferibile a soggetti di vertice della cosca Tegano, con la Zumbo colori srl per una quota pari a oltre il 99% di proprietà dell’ex antenna dei servizi Giovanni Zumbo, condannato a sedici anni perché pizzicato a soffiare preziose informazioni ai clan e indicato da più collaboratori come uomo che sarebbe stato al servizio del clan De Stefano, con la Real Cementi srl , società che sarebbe espressione della cosca Libri e per questo confiscata in via definitiva nel 2012, con la Italsavia di Autolitano Saverio e C snc, che inchieste e processi rivelano che sarebbe di proprietà della cosca Latella, con la Edil Primavera srl e la Rossato, entrambe riconducibili alle cosche Libri e Alampi di Reggio Calabria. Tutte società – si spiega nel nuovo capo di imputazione, elaborato sulla base di recentissime informative della Dia – con cui la Cogem ha stipulato contratti di fornitura in relazione ai milionari appalti pubblici collezionati dalla società negli ultimi quattordici anni a Reggio, come il rinnovo del lungomare, la ristrutturazione di piazza Orange, la pista dell’aeroporto, la costruzione della palestra dei Vigili del fuoco di Reggio Calabria o il cimitero di Cardeto. Ma anche altri due appalti – forse i più sostanziosi – a detta dei pm dimostrerebbero i rapporti organici della società dei Matacena con le imprese dei clan. Per la realizzazione del tapis roulant – fiore all’occhiello dell’amministrazione Scopelliti realizzato dall’Ati Giudecca srl di cui la Cogem era capo mandataria – la società ha stipulato uno specifico subcontratto con la Nuova Geosud di Francesco Saraceno, indagato nell’operazione Entourage. Per la costruzione di 120 alloggi popolari nel quartiere di San Brunello invece, la Cogem non si sarebbe limitata a distribuire subappalti e forniture, ma avrebbe costituito un’Ati – stando alle indagini – con un’impresa direttamente riconducibile al clan Tegano. Quelle casette a schiera che oggi macchiano di giallo la collina su cui si arrampica il quartiere della periferia nord di Reggio, sono state realizzate da Matacena insieme alla Sem dei fratelli Giuseppe e Rosario Rechichi, condannati come esponenti di spicco della famiglia degli arcoti, e alla ditta dei fratelli Pietro e Domenico Cozzupoli, in passato indagati per tentata estorsione aggravata e associazione per delinquere di stampo mafioso.

 

SALVARE MATACENA  Rapporti contrattuali che per la Dda non sono coincidenze, né casualità, ma risponderebbero allo schema di spartizione degli appalti su cui le ‘ndrine reggine avrebbero forgiato le nuove regole e i nuovi assetti all’indomani della seconda guerra di ‘ndrangheta. «Tali rapporti contrattuali – si legge nel capo di imputazione – costituivano lo strumento per affidare parte dei lavori relativi alle opere pu
bbliche già richiamate a soggetti direttamente o indirettamente inseriti nella, o comunque riferibili alla predetta organizzazione criminale di tipo mafioso, con la conseguente volontaria agevolazione del predetto sistema criminale mediante la canalizzazione a suo favore dei connessi vantaggi patrimoniali di rilevante entità». Un’organizzazione che per il pm Lombardo sarebbe «interessata a mantenere inalterata la piena operatività del Matacena e della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita dalle molteplici società ed aziende prima indicate ed altre in corso di individuazione, che venivano utilizzate, dietro articolate ed indispensabili operazioni di interposizione fittizia in grado di superare gli sbarramenti costituiti dalle informazioni prefettizie, per schermare la vera natura delle compagini sociali, dei consorzi e delle associazioni temporanee di imprese». Ma interesse del sistema criminale, di cui per la Dda l’ex parlamentare di Forza Italia sarebbe diretta espressione, sarebbe anche salvaguardare «la destinazione delle relazioni politiche, istituzionali ed imprenditoriali del sistema criminale di tipo mafioso prima richiamato e dal predetto Matacena garantite a livello locale, regionale, nazionale ed internazionale».

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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