Bologna, revocato il sequestro del bar "Caffè incontri"
BOLOGNA Il sequestro al Caffè Incontri di via Orefici a Bologna è revocato perchè mancano prove che i soldi con cui fu acquistato sono di derivazione illecita. Lo stabilisce il tribunale del Riesame…

BOLOGNA Il sequestro al Caffè Incontri di via Orefici a Bologna è revocato perchè mancano prove che i soldi con cui fu acquistato sono di derivazione illecita. Lo stabilisce il tribunale del Riesame, accogliendo il ricorso dell’avvocato Fausto Bruzzese, difensore di Francesco Dangeli, 42enne di Reggio Calabria accusato dalla Procura di trasferimento fraudolento di valori e altri reati. Decisive, nella valutazione dei giudici (Albiani, Criscuolo, Santucci), le testimonianze di due sacerdoti che hanno riferito di aver prestato denaro a Dangeli perchè potesse investire nell’attività e rilevare nel 2009 una parte dell’ex bar Otello, fino a qualche anno fa noto ritrovo di tifosi del Bologna Calcio nel pieno centro storico. I sigilli erano stati posti dalla squadra mobile a gennaio 2014, quando proprio il Riesame aveva disposto il sequestro del capitale sociale di una società intestata alla sorella di Dangeli, del bar e della tabaccheria a fianco, di proprietà di un altro fratello. Secondo gli investigatori, bar e tabaccheria erano intestati ai fratelli, ma il vero “dominus” era il 42enne, che però non avrebbe potuto possedere aziende di quel tipo a causa di una condanna definitiva a 16 anni per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Per il calabrese e per tre fratelli nel frattempo il Pm Francesco Caleca ha chiesto il rinvio a giudizio. Ma ora, revocando il sequestro in relazione a quasi tutti i reati e restituendo i beni al proprietario, individuato in Francesco Dangeli (il sequestro rimane in vigore solo per la tabaccheria, in relazione ad un’omessa comunicazione di variazioni patrimoniali) il Riesame osserva che manca il “fumus delicti” rispetto al trasferimento fraudolento e al reimpiego di beni di provenienza illecita. Se infatti, ragiona il collegio, in un primo momento Dangeli non aveva offerto alcuna credibile giustificazione in ordine alla provenienza del capitale versato nell’acquisto e la somma risultava incompatibile con un reddito lecito che l’indagato in quel momento non poteva avere, “la successiva attività di indagine svolta ha invece ampiamente dimostrato l’esatto contrario, cioè la liceità di quella derivazione”.
Questo emerge anche dalle audizioni dei due sacerdoti. Il primo ha confermato di aver prestato 5.000 euro a Dangeli (poi restituiti) quando questi aveva manifestato l’intenzione di acquistare il bar. Il religioso ha anche riferito di sapere che l’altro prete, 90enne, ne aveva prestati 20mila, come documentato da estratto conto e da un assegno prodotto dalla difesa, «prova certa – scrivono i giudici – dell’intervenuto mutuo della seconda somma e del suo investimento nell’acquisto del bar». A questo punto il tribunale sottolinea «l’argomento logico per cui il comprovato mutuo ricercato e ricevuto dai due religiosi, per far fronte a parte dell’acconto per l’acquisto del bar, e’ circostanza che ragionevolmente rinvia proprio a situazione per cui Francesco Dangeli non disponesse di alcuna provvista illecita da investire».