Oliverio si ricordi degli enti locali
Enrico Berlinguer ebbe a porre, come tutti sanno, la questione morale e, con essa, pose all’attenzione pubblica il suo giudizio sui partiti: «I partiti di oggi – disse – sono macchine di potere e di…
Enrico Berlinguer ebbe a porre, come tutti sanno, la questione morale e, con essa, pose all’attenzione pubblica il suo giudizio sui partiti: «I partiti di oggi – disse – sono macchine di potere e di clientela. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani. Sono federazioni di correnti, di camerille, ciascuna con un boss e dei sottoboss». Sicuramente un punto politico ancora oggi di attualità.
I partiti, così come sono ulteriormente peggiorati, hanno perso la loro funzione. Manca la partecipazione dei cittadini, tanto da minacciare la completa inesistenza delle sezioni che c’erano. Quindi, nessuna discussione sui problemi e sulle emergenze. I partiti sono in mano a quei pochi che non hanno interesse ad allargare il confronto partecipativo, preoccupati di perdere le loro posizioni dominanti.
È di tutta evidenza la crisi della politica, che trascina innegabilmente i suoi difetti nelle istituzioni. Da qui, la sfiducia dei cittadini che preferiscono starsene rinchiusi nelle loro case a leccarsi le ferite della nuova povertà.
A tutto questo non giovano le situazioni pasticciate. Chi ha vinto nella competizione deve governare. Chi ha perso deve onorare l’impegno dell’opposizione, controllando l’operato della maggioranza e pretendendo rispetto delle leggi e trasparenza. Dunque, niente inciuci. Non tengono affatto le giustificazioni basate sull’omogeneità. Adeguarsi alle maggioranze governative offende la democrazia e il diritto. La democrazia perché violentano la volontà degli elettori. Il diritto perché violano il principio dell’autonomia regionale. Guai confondere le regole del rispetto dell’esito popolare e della Costituzione. Si comincia così per finire chissà dove.
Questo monito vale ovunque, figuriamoci in Calabria, terra dei diritti violati e della inesigibilità dei servizi pubblici nonché della disoccupazione ai massimi livelli. La nostra regione deve saper uscire dallo stato comatoso cui l’hanno ridotta i governi che si sono succeduti. Deve saper trarre esperienza dagli errori. Al nuovo governatore e alla maggioranza vincente della tornata elettorale la capacità di governare con saggezza e di assicurare ai calabresi un percorso di crescita.
C’è bisogno di operatività. Non più commistione tra politica e affari. Non più accaparramento delle risorse pubbliche ma scelte chiare e trasparenti.
Occorre potenziare il pubblico e non favorire il privato, se a scapito della comunità. Assicurare i livelli essenziali di assistenza è il primo dei doveri della politica che governa. Diventa indispensabile il ricorso alla delega agli enti locali per amministrare la cosa pubblica che determina le condizioni di vita dei cittadini. La gestione delle risorse naturali, mare e montagna, deve divenire il volano della nuova occupazione, ben collaborata dalle risorse comunitarie che si ha l’obbligo di spendere creando buone occasioni e ricchezza diffusa.
Su tutto necessita cancellare dal territorio quella grande contraddizione esistente tra l’urbanità e i piccoli paesi, che costituiscono la ricchezza dell’essere Calabria. Il problema è rappresentato dalle povertà vegetative che caratterizzano i centri soprattutto montani. Un problema che il presidente Oliverio ben conosce, per essere ben evidenti nella sua S. Giovanni in Fiore e nella mia Rose.
In siffatte realtà vanno pertanto intarsiate politiche solidaristiche ben coordinate tendenti – da una parte – a salvaguardare l’esistenza in vita degli anziani radicati nella loro terra e – dall’altra – a garantire un permanenza decorosa a chi invece è destinato ad andare via.
*Ex docente licei