È un ossimoro, ma la Giustizia è ingiusta
Che la Giustizia sia da riformare è cosa risaputa. La lentezza dei procedimenti non determinano sicuramente una immagine positiva della stessa nell’opinione pubblica. Che la politica debba farsi cari…
Che la Giustizia sia da riformare è cosa risaputa. La lentezza dei procedimenti non determinano sicuramente una immagine positiva della stessa nell’opinione pubblica. Che la politica debba farsi carico di un problema così importante, è innegabile. Non per garantire qualcuno, ovvero per salvaguardare le solite degenerazioni del governo della spesa, bensì nell’interesse della collettività, che ha ragione di pretendere uno Stato che si renda garante della giustizia. Un obiettivo pubblico da godere attraverso l’esercizio attribuito a un giudice terzo, che sappia rimanere tale fino in fondo.
La notizia ripresa oggi da questo sito, relativamente all’esito processuale previsto dell’inchiesta sui derivati-capestro sottoscritti dalla Regione, fa venire in mente il problema dell’incidenza del prodotto della Giustizia sulla credibilità del sistema istituzionale in senso lato. La impunibilità “per contratto”, sta diventando nel Paese una sorta di discriminante sostanziale tra chi viola le leggi per leggerezza e/o stupidità, e chi viola le leggi per scelta “intelligente”. Questi ultimi, per conseguire il migliore risultato, godono della buona preventiva predisposizione delle prove, spesso collaborate della politica indipendentemente se compiacente o meno, ovvero con il sapiente approffittamento dello strumento della prescrizione, del quale gli avvocati di oggi, a differenza di quelli di una volta, godono esclusivamente per il buon risultato dei processi.
Quello dei derivati è un guaio che ha toccato Regione e non solo. Molti Comuni hanno pagato pegno, accollando le perdite alle tasche dei cittadini, altri sono “in braccio a Maria”. Agli amministratori che hanno sognato, spesso aiutati in ciò da collaboratori infedeli sempre pronti a fare la cresta, occorrerebbe ricordare che le istituzioni pubbliche non dovrebbero mai scommettere, perseguendo le metodologie di borsa e inseguendo le speculazioni del mercato. Amministrare la res pubblica, è cosa diversa dal potere giocare la “res propria”.
Dalla anzidetta notizia sui derivati-capestro, sottoscritti con la banca giapponese Nomura, i cittadini capiranno che risulteranno tutti assolti o quantomeno impuniti i soggetti ritenuti destinatari degli addebiti originariamente imputati loro dal magistrato inquirente. Ciò a prescindere, sembra di leggere, dalla certezza che vi sia stata al riguardo una retribuzione di mediazione professionale di circa due milioni. Insomma, inguaiare la Regione non costa nulla, per come riportato pure su “Il Sole 24 ore” di oggi.
Una notizia difficile a digerire, soprattutto se messa in relazione ai quattro o cinque poveretti già dipendenti della Regione mandati definitivamente a casa per l’uso improprio che facevano del badge. Un licenziamento “in tronco” che ha messo sulla strada lavoratori “instupiditi” dalla tollerata nullafacenza pubblica, monoreddito e con figli a carico. Un tale paragone, che evidenzia una sproporzione nella produzione di giustizia reale, disarma e pone qualche problema su come vanno le cose e su ciò che l’esperienza insegna in termini di impunità guadagnata dalla politica, capace di dividere l’occupazione di rilievo tra i propri amici e la stirpe dello “sceriffo”, incaricato di sorvegliare e punire “i benefattori”.
Il lettore potrà riflettere a sufficienza e trarre le dovute conclusioni dal racconto. Sicuramente occorre una Giustizia giusta, capace di punire severamente chi ruba approfittando del ruolo e del potere delegatogli, almeno come fa con i “ladri di polli” nostrani, resi ex dipendenti regionali senza la concessione di una ulteriore chance.
Dai siffatti esiti, l’ingiustizia della Giustizia. Quella cosa che costringe i giudici a dichiarare l’impunibilità a chi non la merita e ad applicarla, a prescindere, nei confronti dell’espressione della povertà stupida assuefatta alle regole malate dell’essere pubblica amministrazione calabrese.