A scuola di teatro con Veronesi
COSENZA «Non un monologo, non un dialogo, non un testo, ma un work in progress, uno spettacolo per il pubblico e a favore del pubblico» recita la locandina dello spettacolo “Lezioni di cinema “di e c…

COSENZA «Non un monologo, non un dialogo, non un testo, ma un work in progress, uno spettacolo per il pubblico e a favore del pubblico» recita la locandina dello spettacolo “Lezioni di cinema “di e con Giovanni Veronesi che è andato in scena al “Teatro Auditorium” dell’Università della Calabria di Cosenza. Una lezione di cinema in cui il regista, che qui è in veste di “attore”, considera «uno spettacolo per modo di dire, perché io e la gente che mi porto dietro, ci divertiamo ad andare nei teatri e a spifferare tutto». Così Veronesi si cala nelle vesti di maestro e di “giullare” perché da un lato spiega, ma dall’altro, soprattutto, incanta con quella comicità tipicamente toscana che lo lega molto all’amico Leonardo Pieraccioni. «Io mi circondo sempre di persone “ganze” nella vita. Ho avuto la fortuna di avere per amici le persone che magari sono i vostri beniamini», recita in scena. E così, saltano fuori gli aneddoti sull’ipocondriaco Carlo Verdone, sul produttore Cecchi Gori, su Francesco Nuti, preferito a lui dai suoi genitori e su Robert De Niro. «Pensate che mi sono tolto lo sfizio di fare un film con Robert De Niro. Venti sere di fila a cena a casa mia». Il regista di Prato porta in scena con sé Ernesto Framenti e Sergio Rubini. Il primo mostra l’ovvietà di una risata nascosta in una barzelletta, il secondo la sua esperienza con Mel Gibson durante le riprese de “La passione”, svelandone i retroscena. Il ricordo di Massimo Troisi è introdotto dalla note di Luis Bacalov che riportano il regista al ricordo de “Il postino”. «Io credo che ogni artista, ovunque sia e ovunque faccia l’arte, ogni giorno della sua vita debba fare una pausa e dedicare cinque minuti in omaggio a Massimo Troisi». Veronesi ha uno sgabello sul quale non si siede mai, usa lo schermo dietro di sé per mostrare spezzoni di film, e ha una scaletta che non segue. «Andiamo sempre “a braccio”, anche gli ospiti che ho non sono sempre gli stessi – spiega il regista -. Alle volte racconto delle cose, a seconda del pubblico. Mi piace farlo così, come faccio la radio. Sempre improvvisando, perché per me, lo stimolo più grosso è quello di non avere tanto tempo tra quello che penso e quello che dico, infatti rischio molte volte di dire cose senza senso». La scelta di fare questa tournée parte da un progetto iniziato con gli studenti di cinema. «Faccio degli stage, che durano tre giorni, li organizzo da tanti anni. Poi, siccome per me avere tre giorni di tempo da dedicare ai ragazzi era sempre più difficile, allora mi sono inventato questo format: andare in giro per i teatri e proporre uno spettacolo che racconti come si realizzano. Cercare di avere un pubblico che non fosse soltanto specializzato o soltanto di attori». È un viaggio nei ricordi di tanti amici e di lezioni sul “metodo” recitativo. «La gavetta non importa nell’arte – continua Veronesi -. Il metodo, ognuno ha il suo. Non è detto che quello di Lee Strasberg sia il migliore. Magari il “tuo” metodo è quello di non avere metodo». E parlando delle prossime produzioni confessa: «Ho in mente di fare tre film, che tengo in tasca come se fossero palline. Le lancio in aria, la prima che casca lo fò».
Miriam Guinea