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Processo Cosa mia, l'accusa chiede 400 anni

Ribaltamento di tre assoluzioni, revisione al rialzo delle pene inflitte a due imputati e conferma di tutte le condanne disposte in primo grado dal Tribunale di Palmi. Che il procedimento Cosa mia si…

Pubblicato il: 13/02/2015 – 20:06
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Processo Cosa mia, l'accusa chiede 400 anni

Ribaltamento di tre assoluzioni, revisione al rialzo delle pene inflitte a due imputati e conferma di tutte le condanne disposte in primo grado dal Tribunale di Palmi. Che il procedimento Cosa mia si sia rivelato un successo rotondo per la pubblica accusa, non lo rivelano solo gli oltre 400 anni di carcere decisi in prima istanza dagli imputati, ma anche le lievissime richieste di modifica delle condanne disposte avanzate oggi dal pm Roberto Di Palma alla Corte d’appello di Reggio Calabria. Mente e anima del procedimento che per primo svelato le infiltrazioni dei clan Gallico-Bruzzise-Morgante e Sciglitano nei lavori dell’A3, dopo aver sostenuto l’accusa in primo grado, il pm Di Palma ha ottenuto l’applicazione in appello, dove ancora una volta ha roggi rivendicato nel corso della sua requisitoria la correttezza dell’impianto accusatorio confermato dalla sentenza di primo grado.

 

LIEVI RICHIESTE DI MODIFICA

Una decisione, quella del Tribunale di Palmi, che il sostituto procuratore ha chiesto di confermare, fatta eccezione per le posizioni di Rocco Gallico, per il pm da condannare a 30 anni in luogo dei 21 in precedenza rimediati e Antonio Bruzzise, da punire con 23 anni di carcere invece dei sedici incassati in primo grado. Ma ai giudici della Corte d’appello reggina, Di Palma ha chiesto anche di ribaltare le assoluzioni di Vincenzo Galimi, da condannare a 16 anni, Antonio Ciliona, che per la pubblica accusa deve essere punito con l’ergastolo,  e Matteo Gramuglia, cui per il pm devono esser inflitti 14 anni di carcere.

 

CONFERMATE GLI ERGASTOLI 

Per il resto, Di Palma ha chiesto di confermare le pesantissime condanne ottenute in primo grado, a partire dai cinque ergastoli disposti per Domenico Gallico, Giuseppe Gallico, Salvatore Morgante, Carmine Demetrio Santaiti e Lucia Giuseppa Morgante, la settantenne che dal carcere portava all’esterno gli ordini di morte durante la faida tra i Gallico ed i Bruzzise, che tra il 1980 ed il 1988 ha portato alla morte di 52 persone. Delitti che il pm Di Palma è in larga parte riuscito a ricostruire nei lunghi anni di indagine sui clan di Palmi e Seminara, confluiti poi nell’inchiesta “Cosa mia”, che ha cristallizzato in una monumentale richiesta di misura cautelare, quindi in un altrettanto impegnativo procedimento, le attività tanto imprenditoriali come meramente criminali delle ndrine Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano di Palmi, e i Bruzzise-Parrello del “locale” di Barritteri e Seminara. Una fotografia fedele, che ha inchiodato capi e gregari dei clan, condannati oggi a pene pesantissime.

 

LE ALTRE CONDANNE DA CONFERMARE

Ma per la pubblica accusa devono essere confermati anche i 25 anni dietro le sbarre inflitti a Giuseppe Bruzzise, come i  22 anni e 9 mesi di reclusione disposti per Teresa Gallico. Per Rocco Gallico il Tribunale aveva  disposto  invece   21 anni di reclusione, mentre per Carmelo Bruzzise la pena inflitta è di 20 anni di reclusione. I giudici di Palmi avevano inoltre punito  Antonino Gallico con 19 anni e 6 mesi di carcere, Filippo Morgante, con  18 anni e 6 mesi e  Antonino Ciappina, con 18 anni. Diciassette anni di reclusione erano stati inflitti inoltre a, Domenico Sciglitano,  16 ad Antonio Bruzzise, 15 a Carmelo Sciglitano. Ancora, era  di 14 anni e 9 mesi la condanna inflitta a Francesco Cutrì, mentre è stata di 14 anni e 3 mesi la pena disposta per  Maria Carmela Surace. Hanno rimediato una condanna a 14 anni  Vincenzo Bruzzise e Matteo Gramuglia, mentre per Antonio Costantino il Tribunale aveva disposto una condanna a 13 anni e 6 mesi. È stata invece di 12 anni e 9 mesi, la pena inflitta invece a Carmine Gaglioti, mentre sono stati 12 gli anni di carcere decisi per  Mariangela Gaglioti, Vincenzo Sciglitano  e Antonino Costa. Hanno incassato 10 anni di carcere  Diego Rao e Alfredo Morabito, mentre è stata decisa una pena a 9 anni di carcere per  Vincenza Surace, Giovanni Bruzzise, Vincenzo Oliverio e Carmela Carbone. È stata infine di 7 anni e sei mesi la pena inflitta a Vincenzo Cambareri, mentre i giudici di Palmi hanno deciso che  Elena e Fortunata Bruzzise dovessero passare 7 anni dietro le sbarre. Per Pasquale Galimi e Roberto Caratozzolo, la il Tribunale di Palmi ha disposto una condanna rispettivamente  a 5 anni e 6 mesi e a 5 anni. Pene minori sono andate a Giuseppe Papasergi, condannato  a 3 anni e 6 mesi, Pasquale Mattiani, condannato  a 3 anni e a  Fortunato Princi, Antonino Giovanni Campagna, Vincenzo Campagna e Maria Ditto, tutti sanzionati con una pena a due anni di reclusione.

 

L’INCHIESTA

Superato con successo lo scoglio del primo grado, l’inchiesta Cosa mia si presenta alle forche caudine dell’appello, forte non solo della pronuncia favorevole arrivata in primo grado, ma anche del successo processuale già incassato in diversi gradi di giudizio dal filone giudicato con rito abbreviato. Risultati straordinari che confermano  il lungo lavoro di indagine, avviato nel 2005 dal pm Roberto di Palme, affiancato dal sostituto procuratore Giovanni Musarò a partire dal 2008. Un lavoro certosino che ha svelato che i cantieri per i lavori di ammodernamento della A3 continuavano ad essere stretti nella morsa delle organizzazioni criminali, che imponevano una tangente del 3% sugli appalti quale corrispettivo per la “sicurezza”. Una tassa che i clan imponevano con un rosario di furti e danneggiamenti e le grandi imprese accettavano – e probabilmente accettano – di pagare senza troppi problemi.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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