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"Haus", monologo senza veli

VILLA SAN GIOVANNI Sembra una pila che si carica e si spegne, con tempi commoventi, a tratti comici, molto spesso strillati, l’interpretazione di Chiaraluce Fiorito in “Haus”, monologo di cui ha an…

Pubblicato il: 09/03/2015 – 10:00
"Haus", monologo senza veli

VILLA SAN GIOVANNI Sembra una pila che si carica e si spegne, con tempi commoventi, a tratti comici, molto spesso strillati, l’interpretazione di Chiaraluce Fiorito in “Haus”, monologo di cui ha anche curato la regia, tratto dal testo di Mario Giorgi e andato in scena domenica sera al “Teatro Primo” di Villa San Giovanni. Entra in palcoscenico passando di lato agli spettatori. Tira dal taschino un bigliettino e inizia a leggere: «Si conferma che l’attrice è indisposta o, comunque, indisponibile, e pertanto lo spettacolo, nel modo in cui è stato concepito dall’autore, non potrà avere luogo». Lo stratagemma trae in inganno qualcuno del pubblico che chiede incuriosito: «Ma quindi dobbiamo andare via?». Poi inizia.
Il teatro è al centro dell’ “inchiesta” che quest’attrice catanese vuole scomporre, partendo dal rapporto con l’autore che pretende che lei vada in scena nuda, perché nuda il pubblico ha modo di vederle l’anima. «Detesto essere guardata dentro, soprattutto da uno che si considera un “ginecologo dell’anima”», dirà nella fermezza del momento. Ma lei non può spogliarsi a causa di un’allergia che le ricopre il corpo di piaghe e pustole. “Haus” non è solo la semplicità del rapporto tra l’attrice e il regista. “Haus” va oltre e affronta, partendo da un incipit che a tratti confonde e sembra incerto, il concetto di “menzogna” tanto nella vita, quanto sulla scena. «Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti», diceva Pirandello. La finzione a teatro è semplice e diretta, vive nell’ovvietà del luogo che la ospita, ma nella vita il gioco diventa più interessante, perché solo chi mente sa di farlo, mentre gli altri credono in ciò che vedono.
È così, questa attrice, vive la sua esistenza in un camerino di cui non detiene neanche le chiavi, possesso di un autore che lì la chiude la notte, facendola uscire solo di giorno dopo averle portato la colazione. Decide di farne una copia per ottenere la propria indipendenza, ma in quel momento si innamora di un giovane di vent’anni col quale vive una travolgente relazione, sempre e solo a teatro, solo e soltanto nella sua casa/camerino, l'”Haus”, appunto. Scoprirà solo dopo che si tratta di un attore ingaggiato dall’autore per un insano desiderio di mostrare come anche il sentimento possa essere manipolato. Pinocchio interpreta quel ruolo: burattino nelle mani del regista, emblema della bugia. «Come posso fidarmi di lui adesso» si domanda, con la consapevolezza che in altri luoghi lui non l’avrebbe mai amata. «Ci sono storie che, per come avvengono si portano via un po’ del nostro cuore, ne trattengono una parte, non ce la restituiscono e non si ha il coraggio di reclamarla, perché si sa che non la si può riavere indietro» commenta delusa. Sullo sfondo ci sono due maschere: un “lui” e una “lei”. Tre volte cambia la “pelle” per liberarsi dall’ ipocrisia che la circonda e trova, come espediente alla nudità totale, un body color carne regalatole dal suo amore giovane e fugace. Non otterrà la libertà che cerca, né dal teatro, né dalla menzogna. «Lei si rende conto che la sua vita è quella, all’interno del camerino – spiega Chiaraluce Fiorito – .
La libertà è quello che noi decidiamo che sia, e lei alla fine capisce che la sua è rimanere lì e recitare. Se tu reciti e metti tutta te stessa e riesci a non risparmiarti, non ti fermi a giudicare chi hai di fronte, perché l’importante non è l’individuo, ma il suo valore, allora lì dici che l’importante è recitare, fare finta, ma ci devi credere. Questa è la sua soluzione». Accetterà quella sulla ribalta come unica vita possibile, aspettando il ritorno del compagno, mentre balla sulle note di “Dancing in the moonlight” di King Harvest e sugli applausi del pubblico.  

 

Miriam Guinea 

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