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L'impero ligure dei Fotia

REGGIO CALABRIA Un’operazione a orologeria studiata per dribblare tanto le interdittive antimafia, tanto le misure di prevenzione personale e patrimoniale che negli anni hanno colpito o rischiato d…

Pubblicato il: 09/03/2015 – 18:07
L'impero ligure dei Fotia

REGGIO CALABRIA Un’operazione a orologeria studiata per dribblare tanto le interdittive antimafia, tanto le misure di prevenzione personale e patrimoniale che negli anni hanno colpito o rischiato di colpire Pietro Fotia, il maggiore e più noto dei tre fratelli che dalla Calabria hanno progressivamente colonizzato il settore delle costruzioni e del movimento terra nel Savonese. Così la Dia ha letto la creazione delle aziende Pdf e Seleni, oggi sequestrate perché ritenute solo scatole di cartone necessarie per occultare la presenza dei Fotia e della loro storica azienda, la Scavo.ter, in una serie pressoché infinita di lavori privati e soprattutto pubbici, come i cantieri per il raddoppio della ferrovia nell’estremo Ponente ligure, o quelli aperti su commissione di Comune e Provincia di Savona, nonché di altre piccole amministrazioni comunali come Vado Ligure, delle Autorità portuali di Savona e Genova, del porto di Imperia e di società pubbliche come “Sviluppo Genova”. 

 

Imprese in rapporti con i clan di Africo

“Con l’operazione di oggi – ha detto il colonnello Sandro Sandulli che guida la Dia genovese -, ci rendiamo sempre più conto che sul territorio della Liguria ci sono strutture organizzate e presenti da tempo. Le attività di indagine e le ultime operazioni dimostrano la presenza consolidata di gruppi di ‘ndrangheta attivi in diversi settori economici e in particolare gli appalti. Ci sono rapporti solidi con la famiglia della ‘ndrangheta di Africo, egemone sul territorio calabrese e con un ruolo importante negli equilibri della criminalità organizzata: nel corso delle attività investigative sono emersi legami di tipo familiare come matrimoni ma anche amicizie e frequentazioni di lungo corso”. Nonostante i suoi esponenti non abbiano mai avuto condanne per mafia, la famiglia Fotia è più volte finita al centro di inchieste di diverse Dda, sia per i legami di parentela, sia per le frequentazioni che li legano alle ‘ndrine di Africo. Per questo, negli anni si è sempre data molto da fare per celare la propria presenza in società e cantieri.

 

Il nipote di fiducia
Le manovre iniziano nel lontano 2010, quando la Scavoter decide di creare una propria controllata, le cui quote vengono in breve intestate a Pietro Fotia e Simona Rosso, ma nel giro di un anno l’assetto societario cambia completamente. Nel marzo 2011 Rosso cede le proprie quote a Giuseppe Criaco, nipote incensurato di Fotia, quindi nel maggio dello stesso anno è Pietro Fotia ad abbandonare la società, lasciando le cariche di consigliere e presidente del cda rispettivamente a Tamara Monteleone e a Criaco, che in meno di un mese verrà anche nominato amministratore delegato. Una carriera fulminante per il giovane nipote di Fotia, che un anno dopo, nel marzo del 2012, con l’abbandono della Monteleone diventerà amministratore unico della Pdf. Ma quello sarà un anno di grandi cambiamenti per la galassia imprenditoriale gravitante attorno alla famiglia. Tra il 2012 e il 2013 infatti, i fratelli Francesco e Donato Fotia, nel frattempo raggiunto da una misura di prevenzione patrimoniale, creano un’altra società, la Se.le.ni, necessaria per svuotare la loro storica impresa.

 

Grandi manovre
Un’operazione che la Dia mette in relazione con la proposta per l’irrogazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a carico dei fratelli Fotia, nonché di sequestro delle società a loro riconducibili, depositata nel febbraio di quell’anno. Un’istanza rigettata dal Tribunale, ma rispedita al mittente dalla Cassazione, il cui iter ha tuttavia dato modo ai Fotia di far sparire il proprio enorme patrimonio societario. Per gli investigatori infatti, non è un caso che nell’aprile 2012, a meno di due settimane dalla sua costituzione, la Seleni ricevesse infatti tutte le quote dalla Scavoter. Meno di un anno dopo, nel marzo 2013, i due soci cedono le proprie quote al nipote Giuseppe Criaco, che in meno di dodici mesi si ritrova a fare da amministratore unico di due delle maggiori imprese di costruzioni e movimento terra della Liguria. Una classica “partita di giro” per la Dia, che “deve quindi ritenersi essere stata effettuata dai predetti al fine di eliminare i potenziali effetti nefasti derivanti dall’applicazione della misura di prevenzione proposta, tanto sui beni mobili ed immobili dei quali era stato richiesto il sequestro anticipato, quanto per l’aggiudicazione di commesse pubbliche”.

 

Al Tar e in piazza contro le interdittive
Vanificata l’istanza della Dia, sulla base delle informazioni trasmesse dagli investigatori, nel giugno 2012 toccherà al prefetto sanzionare la Scavoter e le altre imprese “di famiglia” con interdittive antimafia, che comporteranno l’immediata rescissione dei contratti con la pubblica amministrazione. Provvedimenti contro cui i Fotia resisteranno tanto di fronte al Tar – che finirà per bocciare il loro ricorso – come per le strade di Savona, nel corso di manifestazioni organizzate assieme alla locale Cisl, ma che soprattutto cercheranno di tamponare “modificando – si legge nel decreto di sequestro – la struttura aziendale della “P.D.F. s.r.l.” col chiaro ed esclusivo intento di eludere le conseguenze negative derivanti dal menzionato provvedimento amministrativo prefettizio, creando, in caso di eventuali – quanto presumibili – misure ablatorie, uno schermo sui reali titolari della società”.

 

“Il capo sono io”
Manovre societarie in larga parte vanificate dallo stesso Pietro Fotia, che non ha mai esitato a mostrare di essere lui il vero dominus della galassia aziendale riferibile alla sua famiglia. Come tale si è presentato a Milano all’ingegnere Giuseppina Sciglio, capo settore edilizia universitaria dell’area risorse immobiliari e strumentali dell’Università “Bicocca” di Milano, per perorare la cause della Scavoter quando l’interdittiva antimafia ha fatto saltare la commessa, ma soprattutto in quanto capo e vero referente delle attività di tutta la famiglia Fotia, si è rivolto ad un colonnello della Dia di Genova, lamentando i continui controlli nei cantieri. Stando a quanto riferito dal funzionario, Fotia non avrebbe esitato, “con toni duri ed in evidente stato di agitazione” ad apostrofare l’ufficiale dicendo “il suo personale quando si presenta nei cantieri ave lavorano le mie ditte mm deve fare affermazioni ritenute prive di fondamento o non veritiere (…) “così non si può più andare avanti … è ora di smetter/a … quando si parlo della famiglia Fotia bisogna parlarne con “rispetto” perché la famiglia è una cosa sacra e va difesa … e anche lei, Colonnello, ha una famiglia”.

 

Le minacce al pm Pelosi
Una minaccia per nulla velata che potrebbe costare caro a Fotia, come già gli sono costate care le affermazioni rivolte all’indirizzo del sostituto procuratore Ubaldo Pelosi, che in passato ha chiesto e ottenuto per lui il carcere nell’ambito di un’inchiesta per corruzione. A Fotia, in aula per un procedimento che lo vede imputato per reati tributari, sono saltati i nervi quando ha visto due esponenti della nota associazione antimafia “Casa della legalità” e di un giornalista. “Questi signori qua vanno in giro tutti i giorni nei cantieri a riprendere, ora li fate venire pure qua”, ha gridato l’imprenditore all’indirizzo del tribunale, per poi rivolgersi al pm “tu sei il responsabile, ricordati”. Affermazioni pesanti e minacciose che gli sono costate una denuncia per minacce. Ma forse questo non è che il minore dei problemi giudiziari che in futuro potrebbe avere il noto imprenditore.

 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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