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Botte e minacce per un debito, condannati

COSENZA Avrebbero commesso estorsioni ma non per conto del clan. Il gup di Catanzaro, Domenico Commodaro, ha condannato tre persone per estorsione ma ha escluso l’aggravante mafiosa. Si tratta d…

Pubblicato il: 14/04/2015 – 17:01
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Botte e minacce per un debito, condannati

COSENZA Avrebbero commesso estorsioni ma non per conto del clan. Il gup di Catanzaro, Domenico Commodaro, ha condannato tre persone per estorsione ma ha escluso l’aggravante mafiosa. Si tratta di Roberto Porcaro (5 anni e 4 mesi di carcere e 4mila euro di multa), Maurizio Basile (5 anni e due mesi e 1.600 euro di multa) e Antonio Basile (6 anni e 2mila euro di multa). E ha assolto Alberto Fioretti. Tutti del Cosentino. Secondo l’accusa, i tre avrebbero compiuto estorsioni per conto del clan Lanzino. Avrebbero estorto denaro e rubato armi anche con pesanti minacce di morte. Ma per il giudice catanzarese non avrebbero agito per conto del clan. Assolti, quindi, per l’articolo 7 (aggravante mafiosa). 
Porcaro, però, a detta di alcuni collaboratori di giustizia è ritenuto uno dei capi del “gruppo degli italiani” tra le cosche del Cosentino.
I quattro imputati, giudicati con il rito abbreviato, erano finiti in manette un anno fa quando i carabinieri della compagnia di Rende hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nell’ambito dell’operazione denominata “Arma non convenzionale”. Gli arresti erano scaturiti dalla denuncia di un imprenditore che non potendo più restituire un prestito di 5mila euro ai suoi presunti estorsori, nel 2012, sarebbe stato minacciato di morte e picchiato con una mazza da baseball e costretto a una scrittura privata per la vendita della casa. Secondo l’accusa, i presunti estorsori gli avrebbero applicato un tasso del 10% mensile.

La storia comincia quando un imprenditore nel settore dei servizi di manutenzione chiede, nella primavera del 2012, un prestito di 5mila euro a Maurizio Basile. Dovrebbe restituirlo in otto rate da 750 euro mensili, per un totale di 6mila euro. Per i primi sette mesi, l’imprenditore è riuscito a far fronte alle richieste ma pagando solo gli interessi sulla somma. Quando gli è stato chiesto di restituire anche il capitale, l’uomo non ce l’ha fatta più. Inizia così un calvario di minacce e richieste: Porcaro, secondo l’accusa, nel dicembre 2013 avrebbe chiesto all’imprenditore di estinguere il debito pagando 7mila euro e cedendo alcune armi. Arrivano le minacce di morte e le violenze. Calci, pugni e persino colpi di mazza da baseball. In una circostanza, all’uomo sarebbe stata puntata alla testa una pistola.
Nel corso del tempo è stato costretto a vendere un furgone della propria azienda, ha consegnato parte delle armi detenute legalmente, e che poi gli sono state restituite, ed è stato costretto a imporre alla madre di firmare una scrittura privata per la vendita dell’abitazione in cui vive. Un appartamento valutato 200mila euro e che, secondo quanto emerso dalle indagini, i quattro volevano acquistare per 50mila euro. Quando i quattro gli hanno intimato di andare dal notaio per formalizzare la cessione, l’uomo non ha retto ed è andato dai carabinieri della Compagnia di Rende a denunciare tutto. Sono bastate poche settimane ai carabinieri per avere i riscontri alla denuncia e arrivare all’emissione dei fermi.

Mirella Molinaro

m.molinaro@corrierecal.it

 

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