Matacena, la Dia chiede il sequestro di Cogem e A&A
REGGIO CALABRIA Non è dato sapere se Chiara Rizzo e Amedeo Matacena abbiano mai pensato di poter limitare i propri guai a quanto già emerso nel procedimento che li vede imputati – lei, diligentemente…

REGGIO CALABRIA Non è dato sapere se Chiara Rizzo e Amedeo Matacena abbiano mai pensato di poter limitare i propri guai a quanto già emerso nel procedimento che li vede imputati – lei, diligentemente presente ad ogni udienza, lui da latitante a Dubai – per inosservanza di pena e intestazione fittizia di beni, aggravati dall’ombra del metodo mafioso. Di certo però, se lo hanno fatto, potrebbero essersi sbagliati di grosso. La Dia ha chiesto alla Dda di Reggio Calabria «di valutare l’opportunità di procedere ai sensi dell’art. 12 quinques» al sequestro preventivo delle quote delle società Cogem e A&A riconducibili «attraverso la schermatura della fiduciaria Sirefid spa e della società anonima lussemburghese Seahorse spa» ai coniugi Matacena.
SEQUESTRATE COGEM E A&A
Una richiesta sulla quale la Procura non si è ancora pronunciata, ma che gli investigatori non hanno avuto difficoltà a motivare in maniera chiara e netta. Le indagini hanno infatti svelato non solo la presenza occulta dei coniugi, tramite la A&A, all’interno della Cogem, che dal ’99 «ha eseguito commesse pubbliche rilevanti quantificate in oltre 65 milioni di euro, eludendo la normativa prevista per il rilascio della certificazione antimafia», ma soprattutto hanno reso evidenti «l’esistenza di rapporti economici tra la Cogem e una serie di società colpite da provvedimenti di sequestro o confisca, strettamente legate alla criminalità organizzata reggina». Per gli investigatori, la Cogem è stata in sostanza lo strumento utilizzato da Matacena «per mantenere nel tempo quella continuità di rapporti di affari e di interessi nell’ambito del circuito criminale mafioso in cui lo stesso era inserito». Il particolare emerge dal decreto di perquisizione eseguito su ordine del pm Giuseppe Lombardo qualche settimana fa, che ha portato gli uomini della Dia a bussare alle porte di tre noti professionisti reggini – gli avvocati Ettore Tarsitani e Antonio Rijli e Giuseppe Pratticò, tutti a vario titolo amministratori della Cogem – per un motivo molto grave: «Potrebbero aver coadiuvato il Matacena nella gestione dei rapporti della Cogem con la criminalità organizzata reggina». Nessuno dei tre risulta indagato, nelle carte li si definisce solo «soggetti di interesse investigativo, risultati in contatto ed in rapporti di affari con gli indagati suindicati». Tuttavia non è la prima volta che i loro nomi saltano fuori nelle carte di questa o altre inchieste.
PASSATI AL SETACCIO GLI UFFICI DEGLI AMMINISTRATORI
Amministratore delegato della Cogem, il nome di Tarsitani era già saltato fuori nelle informative della Dia depositate nei mesi precedenti, che avevano svelato «un inequivocabile interessamento da parte di Chiara Rizzo in un affare consistente nella realizzazione di centrali idroelettriche da realizzarsi in Italia ed in territorio estero (Albania)». Un business di cui già nei primi interrogatori anche la segretaria di Lady Matacena, Maria Grazia Fiordelisi, aveva parlato, affermando con sicurezza: «La Rizzo ed il Matacena portavano avanti anche un progetto di centrali idroelettriche in Albania con l’Avv. Rossi, l’arch. Ettore Tarsitani, con il cugino di questi Gaetano Tarsitani e con Giulio Dall’Olio, che si occupava dei finanziamenti. Ricordo – riferisce la donna agli inquirenti – di aver effettuato una serie di bonifici di basso importo per pagare lo studio Talin o Talis che aveva sede in Albania e si occupava di predisporre i business plan». Un progetto che per i pm si inquadra nel tentativo di riavviare l’operatività del gruppo societario, anche diversificandola e che corre parallelo allo svuotamento delle società del gruppo. Dopo un iter travagliato, i procedimenti a carico dell’ex parlamentare di Forza Italia sono vicini al giro di boa della sentenza, il rischio di un accertamento patrimoniale cresce e il gruppo Matacena sembra avere fretta di far sparire ogni traccia di sé, senza lasciarsi alle spalle troppe voragini, per questo la Rizzo – con l’ausilio di una pletora di professionisti fra cui Tarsitani – inizia a valutare una serie infinita di progetti su cui investire.
NESSUN INDAGATO, MA I NOMI RITORNANO
Sempre nella Cogem, ma in qualità di presidente del consiglio di amministrazione, è presente l’avvocato Antonio Rijlii, rappresentante legale di altre due società della galassia Matacena – la Ulisse shipping e la Amadeus – in passato già sottoposte a sequestro. Storico avvocato amministrativista reggino, Rijli ha gestito in prima persona o come dominus di studio, importanti e delicate trattative a Reggio Calabria. Il suo nome era già saltato fuori fra le carte sequestrate nell’archivio segreto della storica segretaria di Matacena. In quei faldoni, gli investigatori hanno trovato diverse deleghe, con cui la Rizzo incaricava l’anziano avvocato di rappresentare la Seafuture nell’assemblea di Solemar, altre due società della galassia Matacena, ma anche nelle velenose missive dell’ingegnere Salvatore Furnari, fino al 2006 socio di minoranza delle Anthelion Transportes Maritimo Lda – precedente denominazione dell’attuale Amedeo Matacena International Shipping Transportes Maritimos Lda – che hanno permesso agli investigatorI di scoprire non pochi importanti dettagli sulla delicatissima fase di svuotamento delle società del gruppo. Ma all’epoca, il nome di Rijli non era sconosciuto a inquirenti e investigatori. Sebbene mai indagato o accusato di alcunché, il nome del professionista era venuto fuori nell’ambito dell’indagine Archi Astrea, che ha svelato come il clan De Stefano-Tegano abbia colonizzato la società mista Multiservizi. Su nomina comunale, l’avvocato Rijli, insieme a Mario Giglio – imputato nel processo Araba Fenice, in qualità di consigliori dei clan, e fratello di quel Vincenzo condannato a 8 anni dai giudici milanesi per i rapporti con il clan Lampada – e a Lugi Angelo Bellusci, nel primo consiglio di amministrazione della nascente società mista. Ma soprattutto – annotano gli inquirenti e si riporta nella relazione della commissione d’accesso del Comune di Reggio Calabria – Antonio Rijli compare come legale rappresentante della Safi srl «oggetto di sequestro da parte del Tribunale di Reggio Calabria/Sezione Misure di Prevenzione in data 5.10.2007». I soci della Safi risultavano infatti Rosa Errigo «con una percentuale di possesso del 98%,pari a € 10.123,00 – moglie del defunto boss De Stefano Paolo, vittima di agguato mafioso nell’ottobre 1985 (evento criminale successivo al tentato omicidio di Imerti Antonino e da cui scaturì l’inizio della seconda guerra di mafia) – e madre dei più noti De Stefano Carmine, De Stefano Giuseppe e De Stefano Dimitri» e Francesca Gangemi «con una percentuale di possesso del 2%, pari a € 207,00 – moglie del defunto boss De Stefano Giorgio, fratello di Paolo, vittima di agguato mafioso nel corso della seconda guerra di mafia, e madre dell’altrettanto noto De Stefano Giovanni».
E I GUAI PURE
Per colpa di Matacena, l’ingegnere Giuseppe Pratticò – amministratore delegato e rappresentante legale – è già finito a processo – rimediando una condanna a quattro anni in primo grado e una piena assoluzione in appello – nell’ambito del procedimento Mozart per corruzione in atti giudiziari. Da quel procedimento, sarà l’unico ad uscirne assolto con formula piena, ma qualche settimana fa gli investigatori sono tornati nella sua casa e nel suo ufficio, come in quelli degli altri due amministratori, con l’ordine di ricercare e sequestrare «ogni tipo di traccia relativa ad atti, documenti o registri afferenti le società» riconducibili o amministrate dai coniugi Matacena o da chi per loro. E il motivo è reso chiaro e palese all’interno dello stesso decreto di perquisizione. «Appare indispensabile – si legge nel decreto di perquisizione – attraverso tale specifica attività di ricerca della prova ricostruire la genesi e l
a natura dei rapporti tra i soggetti sottoposti a indagine e di quelli di interesse investigativo, tutti legati al contesto di tipo mafioso oggetto di contestazione, e gli ulteriori soggetti in corso di compiuta identificazione nelle rispettive qualità professionali, politiche e imprenditoriali, attraverso i quali porre in essere le attività dirette ad agevolare i propositi criminosi di Matacena Amedeo Gennaro e degli ulteriori soggetti richiamati in rubrica».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it