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Platì simbolo della Calabria dimenticata

PLATÌ Un progetto per Platì non può prescindere da un’idea che formi una nuova classe dirigente in Calabria. Perché solo se si “salva” Platì si salva la Calabria. Tra i cartelli stradali bucherella…

Pubblicato il: 15/05/2015 – 17:39
Platì simbolo della Calabria dimenticata

PLATÌ Un progetto per Platì non può prescindere da un’idea che formi una nuova classe dirigente in Calabria. Perché solo se si “salva” Platì si salva la Calabria. Tra i cartelli stradali bucherellati dai proiettili e lo sguardo che spazia tra le bellezze naturali e le brutture incomplete concepite dallo Stato (lo scheletro della “nuova” strada provinciale mai nata), si arriva nel piccolo centro dell’Aspromonte dove la democrazia è sospesa da più di un decennio. E il racconto di questa anomalia è esso stesso un’anomalia. Perché – lo dice Piero Sansonetti, direttore del Garantista, il quotidiano che ha promosso l’iniziativa – «siamo davanti a un problema politico che mi pare serio, ed è curioso che se ne discuta su invito di un giornale all’interno di una parrocchia». Già, una volta c’erano le sezioni. C’erano i partiti e c’era pure la politica. Che da qui se n’è andata negli anni Ottanta. «Quest’area esprimeva due senatori ed era tenuta in considerazione dai ministri dell’Interno – ha detto Paolo Pollichieni, direttore del Corriere della Calabria –. Poi, la politica è scomparsa, lasciando consapevolmente campo libero alla ‘ndrangheta».
E la politica, che si interroga su soluzioni e antidoti, mantiene intatte anche oggi le proprie stridenti contraddizioni. Una per tutte: qual è il “vero” Pd calabrese? È possibile che i democratici scendano in campo per riportare la democrazia in quest’area dimenticata dallo Stato e, allo stesso tempo, continuino ad accumulare incarichi e nominare eccellenti muratori al timone della sanità reggina? Sono anche queste contraddizioni a lacerare un partito che su certe battaglie si gioca il futuro. La partecipazione democrat all’iniziativa promossa dal Garantista porta in sé questa sconcertante ambiguità: si può parlare di rinnovamento e di prospettive di democrazia quando certi comportamenti richiamano addirittura una sbalorditiva continuità con il recente passato targato Scopelliti?
Sono domande necessarie. Che arrivano dallo stesso Pd e sono risuonate a Platì. Le ha poste implicitamente Maria Grazia Messineo, quando si è soffermata sulla questione del giorno: l’apertura di un circolo democrat. «Il 21 agosto 2014 – ha detto – Sebi Romeo (oggi segretario provinciale, consigliere regionale e capogruppo dei dem) ed Ernesto Magorno erano qui a promettere che sarebbe nato un circolo del Partito democratico: il Pd locale si è impegnato e qui il partito, alle regionali, ha preso il 70% dei voti. Poi, dopo le elezioni sono spariti entrambi».
La prospettiva, stando alle parole di Romeo, è quella di tornare in Aspromonte, con una serie di impegni e delibere da affidare alla giunta regionale. Platì ha bisogno di prospettive concrete e, tanto per iniziare, si potrebbe portare l’acqua nelle contrade periferiche della cittadina (è una delle “promesse” di oggi e proprio oggi la gente ha protestato assieme al vescovo per reclamare un intervento) e investire finalmente una quota dei fondi riservati agli interventi sul dissesto idrogeologico per risolvere il problema di una frana – quella che costringe a una lunga circumnavigazione per raggiungere Bagnara – che si trascina da una quarantina d’anni. Tutto a Platì è incompleto e interrotto, proprio come appare la democrazia. Ci sono strade di cui restano soltanto scheletri inquietanti, gli stessi che lo Stato ha lasciato negli anni in cui pare aver deciso di abdicare. Come se avesse trovato un patto, un equilibrio inconfessabile con l’Antistato che dice di combattere, spesso soltanto a parole. Certo, si tratta di vedere come. Di capire come si possa governare evitando che il parere del popolo venga annullato dagli interventi, spesso necessari, del governo. Questione spinosa: è ingiusta la legge o sono sbagliate le persone scelte per amministrare? A Platì sono in tanti a chiedere una revisione della norma, ma certo non tutti i sindaci possono dirsi innocenti. L’ex primo cittadino di Africo, Domenico Versaci, però, racconta la sua storia con un trasporto che non può lasciare indifferenti: «Non capisco come possano aver agito sulla base di un paio di rapporti di servizio nei quali si parlava di incontri al bar con un pregiudicato, senza tenere conto di tutto il lavoro che avevamo fatto per la trasparenza, per migliorare la rete fognaria, che oggi scarica a mare il 100% dei liquami, per abbassare le tasse. Sapete cosa mi è successo? Hanno segnalato un appalto vinto da un’azienda che non aveva i certificati antimafia. Poi ho scoperto che il commissario prefettizio che è arrivato dopo di me aveva affidato un appalto in un altro Comune alla stessa ditta. E i colleghi di quell’amministrazione mi hanno persino negato l’accesso agli atti. Oggi vivo con il marchio d’infamia della presunta mafiosità e non so come spiegarlo a mia figlia».
Questioni spinose, appunto. Come tutto quello che riguarda la democrazia a Platì. Ricominciare si può, anche se si tratta di capire se non sia troppo tardi. Ma non si può fare calando decisioni dall’alto, come nelle peggiori tradizioni calabre. Senza la gente di Platì – «che oggi non ha paura», ha detto ancora Maria Grazia Messineo – non si va da nessuna parte. È per questo che Wanda Ferro dice che «l’idea di Magorno – che si è proposto come candidato a sindaco, ndr – sarebbe un altro commissariamento per Platì. È insieme a questa gente che si deve riportare la democrazia, non cercando di insegnarle ciò che deve fare».

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