REGGIO CALABRIA Ci sarebbero (anche) gli uomini e i voti del clan Mancuso dietro le quasi 45mila preferenze raccolte dall’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno alle ultime europee. A svelarlo è l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Roma Flavia Costantini su richiesta del procuratore aggiunto Michele Prestipino e dei pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, che ha portato in carcere 44 persone, arrestate nell’ambito della seconda tranche dell’inchiesta su Mafia capitale, l’organizzazione mafiosa cresciuta attorno all’ex Nar Massimo Carminati. Un’organizzazione che già a dicembre era risultata in contatto e in affari con le ‘ndrine, cui aveva permesso di appropriarsi dell’appalto per le pulizie al mercato Esquilino. Proprio l’uomo delegato dai clan a gestire quell’appalto, Giovanni Campennì, sotto elezioni diventa il trait d’union con le ‘ndrine e i loro immensi pacchetti di voti.
«DIAMO UNA MANO ALL’AMICO ALEMANNO»
A contattarlo è Salvatore Buzzi, ras delle cooperative e uomo di Carminati nella pubblica amministrazione – giusto qualche giorno fa spedito a giudizio immediato – cui Alemanno «sin dalla fine del mese di marzo 2014» si era rivolto per chiedere aiuto e sostegno elettorale. Una richiesta che Buzzi accoglie di buon grado, riferisce a Carminati dopo un incontro con l’ex sindaco di Roma presso gli uffici della Commissione Commercio («pe’ la campagna elettorale… una sottoscrizione e poi se candida al sud») e immediatamente “gira” a Campennì, considerato l’uomo dei Mancuso a Roma. Il ras delle cooperative sa chi ha di fronte, sa che l’imprenditore rappresenta interessi che vanno molto al di là della sua azienda e che il suo è solo un ruolo di rappresentanza di un’organizzazione molto più vasta. E potente. Per questo, l’8 maggio lo contatta con una richiesta esplicita: dare una mano «all’amico Alemanno». Buzzi sa che qualcuno potrebbe intercettare quella conversazione per questo specifica «basta che non sia voto di scambio …. tutto è legale … uno po’ votà gli amici???!!!», ma la richiesta è chiara: la ‘ndrangheta deve dare una mano ad Alemanno che si candida in una circoscrizione particolarmente ampia («… mica può venire li!!! Scusa… no perché la circoscrizione è grandissima… è Abruzzo… Campania… la Calabria… Puglia… Basilicata… come cazzo fa? èèè».
E Campennì, pur cogliendo al volo l’illiceità della richiesta, non si tira indietro: «Va bene… allora… – sottolinea – è qua la famiglia… la famiglia è grande… un voto gli si dà…».
Vista l’adesione di Campennì, Buzzi gli comunicava che avrebbe lasciato i contatti suoi e «degli altri amici…» al comitato elettorale «cosi ve chiamano…», ricordandogli che tale appoggio era rivolto a un «amico nostro…».
L’EX SINDACO DI ROMA SAPEVA
Un amico che agli occhi degli uomini delle ‘ndrine «avrebbe dovuto risultare ancor più meritevole – sottolinea il gip, riportando un passaggio della conversazione intercettata – in quanto aveva condiviso, come loro, l’esperienza” della detenzione». Poi – dice infatti Buzzi riferendosi all’ex sindaco di Roma – «è stato pure in galera Alemanno… aiutiamolo… nooo!!!».
Ex del Fronte della gioventù, finito in manette tre volte negli anni di piombo per agguati a militanti di sinistra, molotov contro le sedi diplomatiche dell’allora Unione Sovietica e altri reati, Alemanno ha trovato nuova verginità politica prima in Alleanza nazionale, quindi nel Popolo delle libertà per poi passare a Fratelli d’Italia. Ed è sotto quelle bandiere che nel maggio 2014 si candida al Parlamento europeo. Un obiettivo che vuole a tutti i costi raggiungere se è vero che l’11 maggio chiama Buzzi per chiedere lumi «sulle questioni tue». Un accenno – sibillino per chi ascolta – all’aiuto chiesto al ras delle cooperative, che sul piatto ha messo l’appoggio degli che «amici del sud, che stanno al sud, ti possono dare una mano con parecchi voti».
L’aspirante parlamentare europeo vuole sapere se «devo fare delle telefonate? Devo fare qualcosa? Eccetera, eccetera», ma viene prontamente rassicurato dal suo interlocutore: «No, no, no, tranquillo, tranquillo. Ora manderemo a… a Milardi l’elenco di persone, nostri amici del sud, che stanno al sud, che ti possono dare una mano co’… parecchi voti».
GALEOTTA FU L’EMAIL
Claudio Milardi, membro dello staff elettorale di Alemanno, riceverà però una lista sbagliata: ci sono i nominativi di tutti i lavoratori della cooperativa, che quando inizieranno a ricevere telefonate a pioggia dallo staff di Alemanno si indigneranno non poco. Un guaio finito al centro di una lunga conversazione intercettata da un’ambientale, che si rivelerà importantissima per gli inquirenti non solo perché ha permesso di individuare gli uomini delle ‘ndrine attivati per l’elezione dell’ex sindaco di Roma, ma anche perché conferma il “rapporto privilegiato” fra Salvatore Buzzi e la ‘ndrangheta. A combinarlo è il braccio destro di Buzzi, Carlo Guarany che al comitato elettorale di Alemanno la lista di tutti i dipendenti e non i nominativi indicati. Il ras delle cooperative si imbestialisce, parlando con la compagna Alessandra Garrone che lo rimprovera per “la buzzata” combinata, chiarisce di aver ordinato a Guarany di inviare a Milardi, una lista di sette nominativi da lui espressamente indicati e – si legge nell’ordinanza –, vale a dire Giovanni Campennì, Rocco Rotolo e Vito Marchetto amministratori della “cooperativa Santo Stefano” – indicata dallo stesso Buzzi come “cooperativa de ‘ndranghetisti” – arrestati nel dicembre scorso.
«CHIAMATE GLI ‘NDRANGHETISTI»
Al ras delle cooperative non piace essere criticato, anche se a farlo è la compagna Alessandra Garrone. Per questo insiste «ma che so cretini? Io gli ho detto “sette nomi”… io… io ho detto “Vito, Giovanni, Rocco”, la mafia gli avevo detto “chiamate questi”. No la lista del personale». A ulteriore riprova di quanto affermato, il ras delle cooperative prosegue «… io dico i cosi… i mafiosi… dategli i mafiosi che quelli controllano i voti… te lo votano no?». Parole che per il gip indicano che i soggetti selezionati da Buzzi «avevano la possibilità di controllare l’andamento del voto proprio perché “mafiosi” capaci di esercitare un potere di condizionamento sul territorio, potere dovuto alla loro appartenenza a una organizzazione mafiosa che lo stesso Buzzi identificava con la ‘ndrangheta». E lo stesso Buzzi chiarisce: «… sette nomi… inc… i nomi dei ‘ndranghetisti erano».
Il medesimo concetto verrà espresso nella telefonata di chiarimento con lo stesso Guarany, cui il ras delle cooperative specifica che l’elenco dei nominativi – che avrebbe dovuto essere comunicato «erano i nomi delle persone fedeli… ma che cazzo dai i nomi de tutti». Tutti elementi che inducono il gip a una conclusione univoca: «La promessa di aiuto che Buzzi aveva assicurato ad Alemanno si fondava, quindi, sulla consapevolezza di poter vantare un rapporto privilegiato con alcuni esponenti della ‘ndrangheta (“come dai una mano ad Alemanno? dandogli i nomi di 7-8 mafiosi che c’avemo in cooperativa e gli danno una mano…”) con i quali mostrava, dunque, di potersi confrontare in maniera paritaria nell’ottica di un consolidato rapporto di vicendevoli scambi».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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