L'antimafia danzante ci è costata più di "Rimborsopoli"
A scorrere le prime carte dell’inchiesta su “Antimafiopoli”, condotta dalla Guardia di finanza su delega della Procura distrettuale di Reggio Calabria, un dato salta subito agli occhi e crea sconcert…

A scorrere le prime carte dell’inchiesta su “Antimafiopoli”, condotta dalla Guardia di finanza su delega della Procura distrettuale di Reggio Calabria, un dato salta subito agli occhi e crea sconcerto: ai calabresi l’antimafia danzante e saltellante, come da anni andiamo definendola in splendida solitudine, è costata più della stessa “Rimborsopoli” contestata ai gruppi consiliari della Regione Calabria.
Circa due milioni è il danno erariale contestato alla politica per il disinvolto utilizzo di parte dei finanziamenti erogati ai gruppi politici presenti in consiglio regionale. Qui siamo a un milione di euro, invece, che una sola delle tante sigle dell’“Antimafia con la partita Iva” avrebbe drenato dalle casse pubbliche utilizzandolo in maniera illecita, secondo la denuncia delle Fiamme gialle. E c’è un altro elemento che qui intendiamo valorizzare per far comprendere quanto grave sia anche il danno “non erariale” che l’antimafia danzante e saltellante ha prodotto: guardate la nostra homepage, a fianco al titolo sull’inchiesta per i soldi sperperati dall’antimafia di parata c’è quello sulla crisi paralizzante che vive, invece, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. La terza per dimensioni, fanno bene a sottolinearlo i procuratori aggiunti Luberto e Bombardieri, nel Mezzogiorno. Il Museo della ‘ndrangheta poteva scialacquare con viaggi nei paesi esotici e mettere in rimborso spese anche i gadget per il proprio cane. Chi invece deve, a rischio della vita, misurarsi con le cosche sul territorio non ha i soldi per la carta, non ha computer, non ha assistenti, non ha macchine blindate, non ha uomini. Non ha nulla di quel che serve per essere coerenti tra uno Stato che predica lotta alla ‘ndrangheta e una struttura che tale lotta dovrebbe portare avanti.
Ciò detto, stiano attenti i voltagabbana che in queste ore, e ben prima che il gallo canti anche una volta sola, stanno per provare a riciclare la loro cattiva informazione che per anni ha lasciato emarginati e soli quanti indicavano la patologia di un’antimafia finanziata dalla politica e perciò stesso a braccetto con la stessa. Siano prudenti quei pattuglioni di giornalisti, editori, opinionisti del lecca-lecca. Meglio un imbarazzato silenzio che tentare di trasformarsi in implacabili accusatori di quei personaggi che fino a ieri coccolavano in cambio di un invito a fare da brave comparse nei tanti convegni anti-‘ndrangheta, dove a parlare del connubio mafia-politica c’erano proprio i politici che flirtavano con le cosche.
Manifesti, locandine, articoli di giornale, libercoli, filmati, ricerche, stage, lezioni: un’imponente documentazione è lì a darci i nomi e i cognomi degli illustri colleghi che nel Museo della ‘ndrangheta e nei vari osservatori ad esso riconducibili erano di casa. Altri venivano condannati all’ostracismo. Valeva la stessa regola per magistrati e per investigatori, per docenti universitari e per operatori sociali. Del resto, come meravigliarsene? Gli elenchi degli invitati li stilava il politico, era lui che foraggiava l’impresa. Gli animatori dell’antimafia danzante e saltellante dovevano solo imbastire il banchetto… ed emettere la fattura!
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