REGGIO CALABRIA C’è un filo rosso che lega l’ex ministro Claudio Scajola agli affari delle mafie. A tesserlo è l’ex parlamentare Amedeo Matacena, sul rosario di investimenti governativi per lo sviluppo delle energie alternative in Italia, ma a beneficiarne – hanno scoperto – è stato il superlatitante di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. È questo il quadro che emerge dalla testimonianza puntuale del luogotenente Pasquale Striano, che ripercorrendo le numerose informative redatte dal suo team di investigatori sulla base dei documenti sequestrati nella cantina-archivio di Maria Grazia Fiordelisi, svela un ruolo per nulla ancillare di Scajola nella galassia di interessi economici riconducibile ai coniugi Matacena. Per il sostituto procuratore della Dda reggina, l’ex ministro sarebbe stato un vero e proprio consigliori dei coniugi Matacena, cui avrebbe fornito nomi, contatti, reti, opportunità e finanziamenti governativi da spendere nel variegato network di affari – dalla ricostruzione all’eolico, da questo allo shipping – che nel tempo hanno costruito. Affari come quelli costruiti sulle strane – e oltremodo sospette, secondo il pm Giuseppe Lombardo – relazioni fra l’azienda di energie alternative Fera, l’ex parlamentare di Forza Italia, all’epoca già condannato per mafia, Amedeo Matacena, e l’ex ministro Claudio Scajola, all’epoca titolare proprio della delega alle Attività produttive.
5,9 MILIONI DI EURO Relazioni che pesano 5,9 milioni di euro e corrispondono al finanziamento che l’azienda milanese Fera srl ha ricevuto per il progetto “Freesun per la Liguria” nel gennaio 2009, proprio quando a gestire i milionari investimenti per l’innovazione tecnologica legati al decreto Industria 2015 era l’ex ministro Claudio Scajola. Un fiume di denaro che per anni ha alimentato l’universo delle aziende che si occupano di energia alternativa e che gli uomini della Dia hanno visto affiorare anche in quattro messaggi telematici scambiati nel 13 gennaio 2009, rinvenuti nell’archivio dell’ex segretaria. A dare il via alla conversazione è Cesare Fera, presidente dell’omonima Fera, la Fabbriche Energie rinnovabili alternative srl, che senza mezzi termini scrive: «La settimana prossima definiscono le graduatoria per i progetti presentati a Industria 2015 lo scorso settembre. Sappiamo che abbiamo superato la prima selezione che da 80 ha portato a 24 i progetti ammissibili. Ne passeranno solo 8\10. Hai più avuto feedback da Scajo?».
ACIERNO Il suo destinatario è invece Alberto Acierno, ex deputato prima del Popolo delle Libertà, poi di Forza Italia, approdato nel 2001 al consiglio regionale siciliano grazie al listino dell’allora presidente Salvatore Cuffaro, prima di inciampare a fine 2009 in un’indagine per peculato. Ma soprattutto, Acierno sembra essere un amico di famiglia dei coniugi Matacena. Fra lui e Chiara Rizzo si registrano per lungo tempo conversazioni di carattere confidenziale ed è a lui che la donna affida le proprie ansie quando il marito si dà alla latitanza. Qualche anno prima però, Matacena e Acierno lavorano – informalmente – da colleghi o, forse, da partner in affari. Lo hanno detto – ha fatto emergere l’inchiesta – gli ex soci di Fera come Luca Salvi o Sebastiano Falesi, che mal sopportavano la presenza dell’ex parlamentare condannato per mafia in azienda, lo hanno ribadito diversi testimoni. Ed è proprio in virtù di questo rapporto che qualche ora dopo, Acierno può permettersi di girare la mail di Fera a Matacena, da cui riceve a stretto giro ampie rassicurazioni: «Prima di Natale ho avuto garanzie di buon esito».
PROFEZIE Ma Acierno può addirittura insistere con Matacena, cui scrive: «Scusami se ti rompo, ma se leggi l’email che ti ho girato, capisci il perché della mia insistenza – dice con apprensione il consulente della Fera –. Se per caso non riesci ad avere un aggiornamento, dimmelo comunque, perché non posso rischiare di fare cattiva figura con loro». Ansie destinate a finire in fretta. Poco più di dieci giorni dopo, alla Fera – come velatamente anticipato da Matacena – verrà comunicata ufficialmente l’aggiudicazione di un contributo di 5,9 milioni dal ministero dello Sviluppo economico per la realizzazione del progetto Free Sun, mirato a studio, progettazione e costruzione di impianti basati sulla tecnologia solare termodinamica a concentrazione (Csp, Concentrated solar power)». La selezione delle aziende aggiudicatarie – sottolinea il luogotenente Striano – in quell’occasione non è stata affidata, come previsto in principio, ad un’Agenzia appositamente creata, ma ad un comitato di esperti nominato dall’allora ministro Scajola.
I RAPPORTI FRA SCAJOLA E LA FERA Quel finanziamento – ipotizza la procura – probabilmente non è casuale. E, forse, non si deve solo ai buoni uffici di Matacena. La Fera infatti non è una ditta sconosciuta per l’ex ministro. Non a caso, Maria Teresa Verda – la moglie di Scajola – è stata invitata a presenziare come madrina all’inaugurazione del parco eolico della Rocca, costruito proprio dalla Fera srl nel comune di Pontinvrea, in provincia di Savona. Uno dei tanti impiantati dall’azienda in Liguria – si legge nelle informative della Dia – anche grazie alla «particolare apertura di soggetti politici liguri a costruire parchi eolici per la produzione di energia elettrica nonostante attuali studi scientifici qualificati certifichino l’assenza delle necessarie condizioni di vento utili a rendere vantaggiosa l’implementazione di simili strutture». Ad affermarlo ci sarebbe anche un noto software messo a punto dall’università di Genova per misurare le ore utili di energia prodotta annualmente, «i cui risultati (negativi) – si legge – «sono stati puntualmente ignorati dall’azienda che ha presentato, al contrario, falsi risultati di produttività energetica dei costruendi parchi eolici». Ma per gli investigatori, la storia industriale dell’azienda è uno zibaldone di irregolarità e artifizi, grazie ai quali la Fera avrebbe ottenuto «cospicui finanziamenti da Stato, Regione Liguria ed istituti di credito (…) attraverso un congiunto dei titolari della “Fera srl” operante in territorio elvetico». Circostanze – mettono nero su bianco gli inquirenti nelle informative – che potrebbero non essere estranee alla «presunta ingerenza nel settore di esponenti politici liguri tra cui il consigliere regionale Guccinelli Renzo e l’ex ministro Scajola Claudio».
PESSIME FREQUENTAZIONI PALERMITANE Ma Matacena non è l’unico personaggio ingombrante con cui la Fera, nel corso tempo, abbia avuto a che fare. Negli anni passati, l’azienda milanese è inciampata infatti in almeno due delle inchieste con cui la Dda di Palermo ha voluto approfondire cosa realmente si muova attorno al business dell’eolico in Sicilia. Nessuno dei vertici dell’azienda è mai stato indagato, tuttavia è dagli atti dell’inchiesta “Eolo” che emerge che è Pino Sucameli in persona – uomo d’onore del clan Tamburello, ammesso alla tavola del potente capo cosca Mariano Agate, prima dell’arresto per mafia anche capo dell’ufficio tecnico del Comune di Mazara – a difendere gli interessi della Fera tuonando «è cosa nostra», quando il costruendo parco eolico “Vento di vino” entra in rotta di collisione con un analogo progetto sponsorizzato da una cordata di politici e mafiosi. Sarà invece l’inchiesta “Eden” a far registrare lo stato di fibrillazione di Sebastiano Falesi – proconsole della Fera in Sicilia – quando le aziende direttamente riconducibili ai familiari di Matteo Messina Denaro si accaparrano la gestione del parco eolico del cantiere in subappalto. Da entrambe le inchieste, l’azienda milanese e i suoi uomini usciranno puliti, ma sulla Fera rimarrà sempre un’ombra di ambiguità, sintetizzata nella definizione con cui viene bollata dalla Dda di Palermo che la definisce «società sponsorizzata da Cosa nostra». Una ricostruzione complessa e articolata che neanche il serrato controesame
cui Striano è stato sottoposto è riuscito a scalfire.
a. c.
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