VILLA SAN GIOVANNI L’attore entra in scena e prova a piangere. Niente. Due, tre volte; si sforza di fare uscire una lacrima, ma niente. E si domanda: «E a che serve scoprire queste cose se poi non sono neanche capace di piangere». Ha già conquistato il pubblico. Sul palco del “Teatro Primo” di Villa San Giovanni domenica pomeriggio – con una prima di sabato –, Fabio Mascagni è stato Franco in “Se ci sei batti un colpo”, scritto da Letizia Russo, con la regia di Laura Curino. «E pensare che solo stamattina». Come in un film, un flashback ci porta a qualche ora prima quando Franco è in casa e svela al pubblico il suo problema principale: è nato senza cuore. Nel vero senso del termine. Questo scompenso fisiologico, lo porta a non provare alcun tipo di emozione: «Se vincessi la lotteria della befana. Scalare una montagna altissima. O una bella immersione». Niente. Nulla gli provoca un’emozione. Neanche la morte della vicina di casa Giuseppa, avvenuta tre settimane prima. Compensa con gli altri organi: spesso ha iperventilazione o un’eccessiva sudorazione. L’unica àncora di salvezza è una sorta di “vademecum delle emozioni”: i diari scritti da quando era piccolo su cui annovera i comportamenti della gente; il tutto scansionato al computer e masterizzato su dvd: «Fuori piove uguale aprire l’ombrello. Nel film il personaggio cola a picco con il transatlantico uguale piangere a dirotto» (sul palco pile di dvd occupano il proscenio). L’unica cosa che gli appartiene è la noia. Allora tenta il salto nel buio: il suicidio. Resta solo da capire se possiede almeno l’anima. Una musica aulica; brusìo; cambio luci e inizia – così – un viaggio nell’aldilà in cui Franco incontra dapprima Gesù, figura alienata di uno e trino che parla in prima persona col verbo al plurale: «Io potremmo ricordarti che la vita che ti scorre nelle vene non è tua»; Ahmed, venditore di kebab della zona che gli mostra la visione del suicidio secondo Allah. Poco dopo è la volta della reincarnazione della dea Kalì in Balakrishna, venditore di rose indiano e di Zeus, un vecchio alcolizzato toscano che lo incita al suicidio:«Ammazzati. Finirai nello stesso posto di tutti gli altri». La dottoressa Herzlos (non a caso “senza cuore” in tedesco), primario di pediatria che lo ha assistito dalla nascita, spiega il suo caso ricordando la fuga della madre in Venezuela dopo la diagnosi e l’adozione da parte del nonno. L’ultimo personaggio di questo viaggio ultraterreno, Yukio Mishima – scrittore giapponese morto suicida –, gli suggerisce la katana come strumento di morte. Immagina Franco, il momento del funerale di cui vede due versioni: la prima, quella in cui Eugenio, migliore amico; il nonno; Gianna, la sua prima fidanzata; Dendè, spettro del gatto e Irina, amica “particolare”di Franco, piangono la perdita nonostante i difetti del defunto. L’altra in cui a stento ci si ricorda di lui: «Come fa a mancarti uno che non ha il cuore», commentano. Ma gli sbagli di Franco sono da attribuire al suo grave handicap che lo porta a non telefonare mai all’amico fidato; lo rende fedifrago recidivo senza sensi di colpa; lo spinge a uccidere il gatto solo per studiarne il cuore e a non partecipare al funerale della vicina, la signora Giuseppa che – risentita – lo giudica: «Egoista per ragioni fisiologiche». «Magari c’è un posto sbagliato dove le cose possono fare qualche cosa di più di quell’unica che hai pensato per loro», gli suggerisce proprio lei. Lentamente prende coscienza che il suo posto non è nella stanza, ma fuori in cui i finali felici non esistono e può trovare il suo posto sbagliato nel mondo.
Ci sono spettacoli teatrali che non hanno bisogno di parole per essere spiegati. In alcuni casi – quelli più fortunati – meriterebbero solo di essere ammirati. Questo è stato uno di quelli. Per oltre un’ora Fabio Mascagni dà prova di tutto il suo singolare talento. Contando su un testo dall’insolita comicità e la regia di un’attrice e drammaturga come Laura Curino, l’attore è stato in grado di rendere un monologo un’opera corale: sul palco c’erano i 13 attori/personaggi a cui ha dato vita. Ha recitato con accento toscano, siciliano, indiano, russo, bolognese, tedesco, giapponese e nord africano, garantendo fino alla fine una continuità drammaturgica che non poteva esistere senza la sua bravura. Questo per un attore è un grande successo e per chi lo guarda un grande privilegio.
Miriam Guinea
redazione@corrierecal.it
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