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La non vita nelle baracche di Rosarno

Dalla buia uscita per Rosarno dell’Autostrada, a qualche chilometro, ti imbatti nella tendopoli nella quale vivono – si fa per dire – migliaia di migranti, impegnati in questo periodo nella raccolt…

Pubblicato il: 11/01/2016 – 9:59

Dalla buia uscita per Rosarno dell’Autostrada, a qualche chilometro, ti imbatti nella tendopoli nella quale vivono – si fa per dire – migliaia di migranti, impegnati in questo periodo nella raccolta di clementine, mandarini, arance, kiwi. Basta percorrere la bretella che porta al porto e incontri decine e decine di “fratelli dalla pelle nera” che, a piedi, qualcuno su una bicicletta scassata e senza catarifrangenti, raggiunge la baraccopoli dove sono ammassati.
Spesso si corre il rischio di investirne qualcuno, soprattutto di notte, perché non hanno addosso nulla di fosforescente, ma è sufficiente per farti un’idea di quel che nei paraggi ci deve essere. Se poi ti prendi la briga di andare di giorno nella seconda c.d. zona industriale, rimani male, ti emozioni, se non ti scappano le lacrime. Qui non vedi che tuguri del peggior genere, dove non c’è luce, acqua, servizi igienici. 
Se ti sposti dalla scarsa tendopoli alla baraccopoli, arrangiata alla meno peggio, lo sconforto non può che assalirti alla vista delle persone che lì sono ammassate.
Ho visto uomini, ragazzi e soprattutto donne lavarsi facendo ricorso a bottiglie di plastica tirata da bidoni che loro stessi provvedono a riempire e a trasportare sul “luogo di residenza” . All'”hotel Africa” si sono organizzati con un sarto che provvede a riparare i buchi dei jeans sdruciti o della maglietta bucata, un meccanico che ha trovato per strada pedali o catene di biciclette, che provvede a (s)vendere ai fratelli sfortunati, una macelleria di fortuna (carne scaduta?), uno spazio per le loro sacrosante preghiere. 
Odori nauseabondi, sporcizia dappertutto, tende con fori grandi così e coperti con fogli di cartone. Mammasantissima. Come si fa a passare i giorni qui? Altra soluzione non c’è, se non ancora e da anni, tantissime parole di impegno, senza risultati decenti.
E dire che questa zone era nata con lo scopo di fare di Gioia Tauro una vera e propria zona industriale. Ma gli è che gli industriali del Nord sono arrivati, hanno insediato le loro industrie (ricordate la Isotta Fraschini?) dopo aver sbrigato le pratiche burocratiche, hanno” approfittato” della 488 e sono fuggiti a gambe levate, lasciando nella disperazione più nera i giovani del luogo che pure avevano assunto. Adesso, se non fosse per i fratelli dalla pelle nera non ci sarebbe più nessuno, se non i capannoni abbandonati e ormai cadenti,pieni di sterpaglie. E se questa comunità di persone, superava il migliaio di unità, quest’anno,invece, secondo Bartolo Mercuri, presidente del Cenacolo, un’associazione di volontariato che si occupa, per come può, di tendopoli e baraccopoli, sono quasi 2.500 migranti dalla pelle nera. Quasi tutti originari dal Centro Africa, ma non mancano magrebini,bulgari ecc. L’illusione,per loro, è stata fortissima per via della crisi agrumicola che quest’anno ha battuto ogni record, com’è stata falcidiante per i proprietari degli agrumeti. E se i proprietari non hanno recuperato le spese di coltivazione, i fratelli africani non hanno guadagnato neanche gli euro necessari per non morire di fame.

Inimmaginabile l’impressione ricevuta dal presidente della giunta regionale Oliverio che ha visitato la tendopoli di San Ferdinando. Con le lacrime agli occhi, anche lui, non ha nascosto che non avrebbe mai immaginato di trovare quel che ha trovato. È apparso molto provato e, credetemi, non avrebbe potuto essere diversamente. Ha parlato di un contesto disumano allocato nella sua Calabria, che sarebbe sfuggito ad ogni immaginazione. Mario Oliverio non ha potuto fare altro che abbracciare e ringraziare, a nome della Calabria degli uomini di buona volontà, don Roberto Meduri e Bartolo Mercuri: sono loro che li aiutano, che li lavano, che li sfamano, che li soccorrono. «Una gratuità ammirevole» che anche al Nord dovrebbero conoscere. Uno di questi migranti che parla un po’ d’italiano non ha avuto timore di dire al presidente della Regione di aver paura, specialmente di notte. La loro pelle si confonde col buio delle macchine, non li notano, ma hanno paura di aggressioni.
Il presidente della Regione, da lì stesso, ha invitato qualche ministro a visitare la tendopoli, a venire a San Ferdinando e, soprattutto, ad intervenire con azioni concrete e mirate. Col prefetto di Reggio, Claudio Sammartino, si sta studiando un piano di interventi immediato, perché l’umanità non può non considerare quel che esiste nella baraccopoli. Chiacchiere a parte! Intanto ha fatto deliberare 300mila euro per superare, almeno a parole, le condizioni di ghetto, in cui, questi poveri cristi sono costretti a vivere e a passare il tempo. Meglio la guerra? Certamente no, hanno risposto. Neanche così questa è vita. Si tratta, ahimè, di morti che camminano.

*giornalista

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