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Il killer che «armava zizzania»

CATANZARO «Pietro Pulice era uno che armava zizzania. Nel senso che con noi parlava male dei Cappello, con i Cappello parlava male di noi». Il “noi” a cui si riferisce l’interlocutore è la cosca…

Pubblicato il: 22/01/2016 – 7:14
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Il killer che «armava zizzania»

CATANZARO «Pietro Pulice era uno che armava zizzania. Nel senso che con noi parlava male dei Cappello, con i Cappello parlava male di noi». Il “noi” a cui si riferisce l’interlocutore è la cosca Giampà, ancora una volta raccontata dal suo ultimo reggente, Giuseppe Giampà, 35 anni, che giovedì ha parlato in video conferenza, collegato con l’aula di corte d’Assise di Catanzaro dove si sta svolgendo processo cosiddetto “Perseo omicidi”. Si tratta del procedimento relativo all’inchiesta “Perseo” su sette omicidi compiuti tra il 2005 e il 2011 nel corso “del conflitto armato” tra i Giampà e i Cerra-Torcasio-Gualtieri e che vede imputati Franco Trovato, Vincenzo Arcieri, Antonio Voci e Giancarlo Chirumbolo . L’ultimo agguato che Giuseppe Giampà elenca è quello di Francesco Torcasio avvenuto a luglio 2011. Tra i primi fatti di sangue, invece, c’è quello di Pietro Pulice, avvenuto il 28 settembre del 2005, un killer dalla testa calda. «Mi ricordo che si rivolse a noi nei primi anni del 2000 – racconta Giampà – stava cercando di sfuggire ai Gualtieri che lo andavano cercando per ammazzarlo» dopo che lui aveva attentato alla vita di uno di loro. Ma Pulice, in realtà, apparteneva ai Pagliuso di Sambiase, «una famiglia mafiosa sterminata nella guerra degli anni ’80», spiega il teste. Così, per salvarsi la vita, Pulice si mette al servizio dei Giampà, la cosca rivale dei Gualtieri. Ma, stando al racconto dell’ex reggente, Pietro Pulice fa presto a creare malumori all’interno del clan e dei suoi sodali. Per prima cosa si comporta in maniera dissennata nel corso dell’omicidio di Giovanni Gualtieri, il 13 novembre 2004, all’iterno della sala giochi “Il Pallino”, luogo dell’agguato. «Quando mio cugino Domenico Giampà entrò nella sala giochi – racconta Giampà –, sentì sparare all’impazzata dietro di lui. Era Pietro Pulice, mandato a partecipare al delitto col compito di fare da palo, assicurarsi che la macchina usata per l’occasione venisse ripulita da ogni traccia e disfarsi delle armi. Ma Pulice – secondo quanto raccontato da Giampà – a parte sparare all’impazzata all’interno della sala giochi non esegue nessuno dei compiti che gli erano stati comandati. Lascia la sua pistola nell’auto e non si assicura che la macchina venisse ripulita da ogni traccia. Avevano lasciato tutto nell’auto – racconta il teste – anche gli indumenti. Fu Aldo Notarianni che dovette recuperare ogni cosa, fare sparire le tracce lasciate anche dagli altri esecutori, Angelo Torcasio e Domenico Giampà». La fine di Pulice fu quella di un cadavere carbonizzato in una Fiat Stilo, col corpo puntellato da proiettili calibro 7,65 e abbandonato in località “Crozzano”, una zona di Lamezia al confine tra i quartieri di Sambiase e Nicastro, scelta per «confondere le acque, non fare capire chi poteva essere stato». A volere la morte di Pulice fu anche un Vincenzo Bonaddio, zio di Giampà, su tutte le furie perché Pulice lo aveva convinto a comprare una partita di eroina con la promessa di piazzarla e dividere i proventi, salvo, poi, rimandargliene indietro una grossa parte dicendo che non era di alta qualità e non si vendeva. E poi neanche i Cappello, i referenti della montagna, si fidavano tanto di Pulice. Troppo amico degli Arcieri, coi quali avevano avuto dei diverbi per questioni di denaro. Un summit decise la morte di Pulice e un tragediatore doveva tradirlo. Vincenzo Bonaddio scelse per la parte Vincenzo Arcieri, figlio di Antonio di cui Pulice era molto amico. «Lo mise alle strette – racconta Giuseppe Giampà – per farsi consegnare Pulice sennò ne avrebbe pagato le conseguenze». Ci volle un mese ma Vincezo Arcieri riuscì a portare Pulice alla stalla dei Cappello. Una pistola col silenziatore, nelle mani di Saverio Cappello, fece il resto.


C’ERA UNA COSCA UNITARIA Fino al dicembre del 2000 a Lamezia c’era una cosca unitaria. La storia è risaputa, Giuseppe Giampà l’ha ripercorsa, ancora una volta, in aula di corte d’Assise a Catanzaro. I capi erano Giampà, Cerra e Torcasio. Questo fino alla morte di Vincenzo e Pasquale Giampà, fratelli del boss Francesco, detto “u professore”, padre di Giuseppe Giampà. «Dopo questi omicidi si venne a sapere che erano stati i Torcasio e siamo entrati in conflitto armato con loro», raccontata il collaboratore. La guerra che si è scatenata è stata lunga e sanguinosa, chiusa con l’omicidio di Francesco Torcasio nel luglio del 2011. «I Cerra-Torcasio si allearono con i Gualtieri. Noi ci alleammo coi Cappello, Arcieri, Notarianni. E ci fu una spartizione del territorio coi Iannazzo di Sambiase».
Per quanto riguarda gli omicidi «io ero il mandante», dice Giampà. «Delegavo persone di mia fiducia e facevo prendere gli automezzi per gli agguati prevalentemente a Catanzaro. Le armi venivano da Milano, Limbadi e Catanzaro. Mi occupavo di trovare un appoggio logistico per la fase preparatoria, reclutavo chi doveva fare da specchietto e indicavo dove bruciare il mezzo». In sintesi «mi occupavo di organizzare l’atto omicidiario». In qualche caso anche Giampà ha fatto da staffetta, come per l’omicidio di Bruno Cittadino. Ricorda anche di avere fatto da staffetta nel 2000 per il duplice omicidio di Izzo-Molinaro. Un’affermazione che ha fatto sobbalzare il pm Elio Romano. All’epoca Giuseppe Giampà, classe 1980, aveva 20 anni. Lui ha raccontato di avere partecipato attivamente alle attività della cosca fin da quando ne aveva 15/16, cominciando con le estorsioni. In tutto ha detto di avere organizzato circa 18 omicidi e 3 o 4 tentati omicidi. Prevalentemente contro la cosca rivale ma anche per conto di cosche amiche come accaduto per un omicidio a Vibo Valentia.
L’omicidio di Pietro Pulice è stato il primo per il quale Giampà è stato sentito giovedì. L’udienza proseguirà il 17 febbraio per ricostruire gli altri fatti di sangue e procedere con il controesame delle difese.

Alessia Truzzolillo
redazione@corrierecal.it

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