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CASO SCAJOLA | Il soggiorno libanese di Dell'Utri

REGGIO CALABRIA Torna in aula il processo Scajola e tornano gli uomini della Dia chiamati a testimoniare a concentrarsi su Vincenzo Speziali jr, l’imprenditore catanzarese considerato l’elemento ch…

Pubblicato il: 29/01/2016 – 19:38
CASO SCAJOLA | Il soggiorno libanese di Dell'Utri

REGGIO CALABRIA Torna in aula il processo Scajola e tornano gli uomini della Dia chiamati a testimoniare a concentrarsi su Vincenzo Speziali jr, l’imprenditore catanzarese considerato l’elemento chiave per la riuscita del piano criminale finito al centro del filone dell’inchiesta Breakfast oggi a processo: il trasferimento dell’ex parlamentare latitante Amedeo Matacena in Libano e la schermatura finanziaria del suo immenso patrimonio. Indagato sebbene non – ancora – imputato in questo procedimento, Speziali – attualmente latitante a Beirut – secondo gli inquirenti ha giocato un ruolo fondamentale nel «programma» – questo il termine più volte utilizzato nelle intercettazioni – di trasferimento del politico armatore, fuggito a Dubai per dribblare una condanna definitiva per concorso esterno e lì raggiunto da un nuovo mandato d’arresto. Ma il medesimo servizio – ipotizza il pm Lombardo, confortato dal gip Tarzia – Speziali lo ha svolto per un altro big del Senato divenuto ingombrante dopo la condanna definitiva a sette anni per concorso esterno, Marcello Dell’Utri. Ad entrambi – ha svelato l’inchiesta Breakfast – l’imprenditore catanzarese aveva assicurato un rifugio sicuro a Beirut, grazie alla parentela acquisita con il potentissimo ex presidente del Libano e capo storico delle Falangi Amin Gemayel, più volte – hanno svelato le indagini – accompagnato dall’imprenditore catanzarese nelle sue visite ufficiali in Italia.

IMPROVVIDE CONVERSAZIONI A rivelare al pm Giuseppe Lombardo e agli investigatori della Dia i “servigi” offerti da Speziali alla causa dei due latitanti – di cui l’ex ministro Claudio Scajola era perfettamente a conoscenza – sono state una serie di conversazioni , riferite oggi in aula dal sostituto commissario Gandolfo. Chiacchierate che per Dell’Utri chiamano in causa anche l’ex presidente di Confcommercio Billè – «il ciccione» per Speziali e Scajola, con cui è stato più volte intercettato – che avrebbe spinto non poco perché il senatore condannato per mafia trovasse un “buen retiro”grazie all’imprenditore catanzarese. Un progetto complesso dall’esito «non scontato» dirà – intercettato – Speziali, il quale nonostante le difficoltà si mostrerà fiducioso «che poi, alla fine, la parte tecnica (..)siccome è interessante può prevalere sull’aspetto reputazionale».

IL SOGGIORNO LIBANESE DI DELL’UTRI E LE ANSIE DI SPEZIALI Nonostante nome noto e condanne ingombranti, alla fine – e le cronache lo dimostrano – Dell’Utri approderà a Beirut, dove solo dopo diverse settimane verrà trovato ed arrestato. Un guaio per Speziali che cercherà in tutti i modi di allontanare i sospetti di un suo possibile coinvolgimento della vicenda, senza difficoltà immaginato da politici e giornalisti, investigatori e imprenditori, che lo tempesteranno di telefonate. «Se pure lo Speziali – scriverà nell’ordinanza firmata per chiederne l’arresto – cerca disperatamente di allontanare l’idea di un suo diretto rapporto con la vicenda Dell’Utri, canto appare confermato attraverso le sue stesse parole l’interessamento concreto e reale verso le sorti di Matacena che dal mondo dorato degli Emirati Arabi, continua ad usufruire dell’opera di soggetti che in qualunque modo si impegnavano per trovare soluzioni favorevoli, compresa l’attivissima moglie, Chiara Rizzo e l’ex ministro, Claudio Scajola, che della “causa” del latitante (Matacena) ne aveva fatto una questione del tutto personale».
IL PROGRAMMA MATACENA Nonostante l’incidente Dell’Utri – o forse proprio per rimediare al pasticcio- per salvare Matacena Speziali si impegna non poco. A svelarlo senza ombra di dubbio è il fax – rinvenuto nel corso della perquisizione dell’ufficio di Scajola – con cui l’imprenditore catanzarese, ha trasmesso all’ex ministro la lettera di Amin Gemayel. Una missiva di cui il presidente libanese, che in futuro sarà chiamato in aula a testimoniare, ha disconosciuto la paternità, sebbene rechi la sua firma, ma che di certo – dicono gli investigatori – è stata inviata da Vincenzo Speziali.

ELEMENTI SCHIACCIANTI A confermare questa ipotesi ci sono diversi elementi. Primo, spiega Gandolfo, dal tabulato dell’utenza libanese, «abbiamo compreso come oltre il fax di Scajola ci fossero altri fax indirizzati ad utenze italiane nello stesso contesto spazio temporale. Ed emerge chiaramente che quello non è l’unico fax riconducibile a Speziali perchè risulta anche un fax inviato alla “Edilmediterranea spa” , società che gestisce in Calabria il sistema antincendi boschivi, di cui il padre di Speziali è rappresentante in Calabria». Secondo, «tramite l ‘ambasciata – continua a spiegare il sostituto commissario – abbiamo verificato l’indirizzo dell’esercizio commerciale da dove è stato spedito che era sito in prossimità dell’abitazione di Speziali». Terzo, insieme al fax è stato sequestrato un appunto manoscritto di cui si parla con chiarezza nelle conversazioni intercettate fra l’ex ministro, la sua segretaria dell’epoca Roberta Sacco, e Vincenzo Speziali. «Anche telefonicamente l ‘abbiamo “sentito” che era stato scritto da Speziali», sottolinea Gandolfo.

TRASCRIZIONI TROPPO “STRANE” Elementi che si incastrano in un quadro che sembra complicarsi di udienza in udienza, sebbene tutti gli imputati continuino a professare «massima serenità». Non sembra essere invece sereno alla luce delle discrepanze emerse nella trascrizione delle intercettazioni il pm Giuseppe Lombardo, il quale ha chiesto che venga chiamato a testimoniare il perito per fare luce sulle «troppe “stranezze” di questa perizia. In alcuni casi si discosta troppo dalla trascrizione della polizia giudiziaria. Voglio capire in cosa e perché».

MATTIELLO «PORTATE MATACENA IN ITALIA» All’udienza ha assistito oggi anche il deputato Pd e componente della commissione antimafia Davide Mattiello, che è tornato a sollecitare «il governo a rendere efficace urgentemente il trattato di cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi, condizione formale per porre fine alla latitanza di Matacena. La giornata si è aperta con la notizia dell’arresto di due importanti latitanti di ‘ndrangheta a conferma che le latitanze che resistono nel tempo sono soltanto quelle per le quali esiste un interesse politico». Il deputato non ha peli sulla lingua e parla chiaro «Sappiamo che gli Emirati raccolgono un nutrito gruppo di pregiudicati e di imputati italiani che sanno di poter stare tranquilli: è una situazione intollerabile che mina la credibilità dello Stato e mortifica il lavoro di forze dell’ordine e magistrati. Basta!». Proprio lo Stato – spiega il deputato – dovrebbe essere il primo ad avere interesse a riportare Matacena in Italia, anche alla luce del procedimento Breakfast, che « offre uno spaccato del sistema di relazioni nel nostro Paese, inquietante. Una rete che coinvolge la ‘ndrangheta, l’estrema destra, imprenditori, politici e apparati di sicurezza. Una rete che si riverbera in altre inchieste e che porta a Milano passando per Roma. La questione politica, prima ancora che penale, è capire quanto questa rete sia vasta, radicata, trasversale e quanto riesca a condizionare le scelte che contano, dirottando risorse economiche e nomine nei posti che contano». 

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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