Rischia di divenire grottesca la battuta del presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta che ha definito “un regalo alla ‘ndrangheta” l’accorpamento del porto di Messina a quello di Gioia Tauro. Ci viene in mente un antico detto: “Il bue chiama cornuto l’asino”. Lui che come me è siciliano può dare il senso giusto al proverbio che, comunque, sottintende la facilità con cui spesso si attribuisce ad altri ciò che noi siamo. Quando poi è la classe politica che commette l’errore “salendo” sul piedistallo dell’etica, il rischio diventa la trasformazione delle istituzioni in teatro dell’assurdo dove, appunto… “il bue può chiamare cornuto l’asino”. Anche perché Crocetta sa che il termine “‘ndrangheta” si riferisce ad una particolare tipologia di organizzazione criminale ben localizzabile; quella che alligna in Sicilia, molto più antica, si chiama “mafia” ed ha ispirato tutte le altre organizzazioni delinquenziali. Sicché lasciarsi prendere la mano dall’emotività e non riuscire a evitare frasi come quella diventa banale e potrebbe trasformarsi in ilarità se si rispondesse che i calabresi non consentiranno di “regalare” il porto di Gioia Tauro alla mafia.
Ma a chi giova tutto ciò? La delinquenza organizzata va estirpata sia che si chiami ‘ndrangheta, sia che si chiami mafia. E va combattuta perché rappresenta il peggior nemico per ogni processo di sviluppo che si volesse avviare sia al di qua che al di là dello Stretto, perché ne impedisce la realizzazione e produce forti guasti non solo all’economia ma anche ai rapporti socio-culturali con le altre regioni, sacche di povertà e disoccupazione e alimenta anche la povertà culturale.
È evidente che la “battuta” di Crocetta possa essere stata strumentalizzata politicamente, ma le prese di posizione di chi ha responsabilità istituzionali sono state più che legittime. E lo sa bene anche il presidente della Regione Sicilia ormai consapevole che le sue dichiarazioni sono destinate a passare dalla cruna della critica. Come evitare quelle sul Porto di Messina? Era prevedibile che si creasse una voragine di reazioni. D’altronde ha aperto le danze il presidente dell’Assemblea siciliana che prima ha fatto le scuse ai calabresi e poi si è recato di persona a Reggio Calabria per rinnovare la sua solidarietà ai rappresentanti istituzionali.
Sicuramente è da preferire il Crocetta del giorno dopo, di quando, accortosi della gaffe, ha corretto il tiro ed ha chiarito in una intervista che l’interesse del Governatore della Sicilia era ed è di «tutelare Messina e i siciliani». In quel discorso traspare anche che abbia il dente avvelenato nei confronti del Consiglio del ministri perché non lo avrebbe ancora convocato (non lo è stato neanche con il presidente della Calabria) per conoscere il suo pensiero sull’argomento.
Crocetta non si dice contrario alla regia unica dei due sistemi portuali («dico al Governo – ha affermato – così come prevede la Costituzione, di coinvolgere la presidenza della Regione siciliana») ed ha aggiunto che è suo interesse «evitare che l’operazione non si trasformi in una colonizzazione di Messina e del suo porto».
Condiviso o meno, bisogna tener conto del suo pensiero che, al netto dei suoi riferimenti sulla mafia, pone un problema avvertito sulle due sponde dello Stretto di Messina e che deve trovare ad ogni costo una soluzione.
Sarebbe interessante, per esempio, se da questa vicenda sortisse un accordo che i calabresi e i siciliani onesti – che per fortuna sono la stragrande maggioranza – si augurano e cioè che le due regioni, divise da una lingua di mare, si ritrovassero attorno ad un antico progetto: una seria lotta al malaffare perché su questa piaga si possa scrivere finalmente la parola fine. Sarebbe la più grande operazione sociale mai tentata nella storia del Paese destinata a restituire ai calabresi e ai siciliani quel ruolo che nella storia è stato loro spesso negato perché sporcato dal ripetersi delle imprese mafiose. Si cominciasse a divulgare nella Scuola in modo incisivo cos’è il fenomeno, cosa rappresenta, la sua portata e i danni che produce alla società. E le istituzioni, a tutti i livelli, cominciassero a dimostrare interesse verso i territori, verso le città; cominciassero a difendere il patrimonio culturale; a rispettare le cose comuni; ad osservassero le leggi; a educare i giovani alle regole del vivere civile; a dare i buoni esempi.
Lo dobbiamo a noi tutti, ma soprattutto sarebbe un esempio per le future generazioni, diversamente condannate dal mantra della disoccupazione, della sottoccupazione, del clientelismo, dell’emigrazione.
*giornalista
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