Il calcio, l'Italia e “L'importanza di non essere juventini"
VILLA SAN GIOVANNI «Il primo giorno Dio creò la domenica e ben presto si rese conto di aver inventato anche la noia. Bisognava, quindi, pensare a qualcuno che ne usufruisse». Questo “qualcuno” – che…

VILLA SAN GIOVANNI «Il primo giorno Dio creò la domenica e ben presto si rese conto di aver inventato anche la noia. Bisognava, quindi, pensare a qualcuno che ne usufruisse». Questo “qualcuno” – che Dio ha creato in pigiama di flanella intento a bere birra e mangiare parmigiana -, irrompe sul palco del “Teatro Primo” di Villa San Giovanni, introdotto da un tuono che ne lascia presagire gli intenti e un titolo che non fa bene sperare: “L’importanza di non essere juventini”, scritto, diretto e interpretato da Fulvio Maura e Angelo Sateriale, è andato in scena sabato e domenica, all’interno della stagione teatrale curata da Silvana Luppino e Christian Maria Parisi. In questa Creazione odierna, si scopre che l’errore più grande Dio l’ha commesso nei restanti 5 giorni, quando inventò nell’ordine: il pallone, la locuzione «arbitro cornuto», la donna «prima vera minaccia della storia» e – infine – il calcio. I due sgabelli su cui siedono gli attori – uno bianco e l’altro nero – rinforzano la questione calcistica. Come in una conferenza, quattro quadri scenici propongono altrettante situazioni in cui il calcio è l’unico medium tra le possibili realtà: l’intervista con il politico; gli anziani al parco; i colleghi di lavoro e bambini per strada. La crisi della società e la perdita dei valori sono affrontati da diversi punti di vista e consapevolezze, filtrate dai personaggi che le narrano. Così il giornalista comprato con un Rolex dal politico di turno, Antonio Ponte, creerà un’intervista doppia in un programma dal titolo che ne anticipa la slealtà “Tribuna d’onore”. È nel fuori onda che salta fuori la corruzione dei due interpreti. Non a caso «agghiacciante» sarà la battuta con cui il politico si difenderà dai diversi capi d’accusa durante il faccia a faccia televisivo. «La morale calpestata non è che un fardello da togliersi di dosso, così senza morale, possono agire impunemente al cospetto della propria coscienza», si recita dal leggio, mentre strappare le ultime pagine delle favole dei propri figli sembra essere il mezzo più efficace perché non ne abbiano una. «Il calcio si sa è lo specchio della società, perciò: l’importanza di non essere Juventini», recita l’attore/presentatore dello show e cambia quadro. Doping farmaceutico, doping amministrativo, arbitri compiacenti, un alterco con un collega davanti la macchinetta del caffè e l’ennesima promozione aziendale diventa occasione di rivalsa calcistica. L’inno ufficiale della Uefa Champions League e la disputa tra i due ha inizio: gli avanzamenti di carriera sono giocati come gli scudetti vinti (o rubati, come si lascia intendere) dalla Vecchia Signora che, chissà perché «in Italia ottiene successi, ma in Europa no». Così, delle 33 promozioni solo 31 sono meritate, anche se sempre ottenute grazie a giochi truccati dalle amministrazioni. «Il fine giustifica i mezzi, sembra proprio essere stato scritto da Machiavelli in attesa della nascita degli juventini», il tono goliardico dei tifosi, nasconde il volto di chi è stanco che la meritocrazia, in Italia, abbia subìto una fase d’arresto. Si denuncia la corruzione; il lavoro a buon mercato; gli arrampicatori sociali. Si sceglie la squadra del cuore in base alle vittorie ottenute in Campionato, così come si preferisce essere l’ultima ruota del carro, purché sia quello vincente. Pertini che gioca a carte con Zoff, Causio e Bearzot sull’aereo di ritorno dalla Spagna dopo aver vinto la Coppa del Mondo, è il rimpianto degli anziani che vivono il presente le cui aspettative sono affidate al nord, con le “tante” occasioni di riscatto. Ci sono le brutture del nostro tempo; la perdita dei valori avallata da un lento declino culturale. «Il calcio in Italia parla dell’Italia», dei vizi di questa nazione che non tenta neanche di risorgere dalle proprie ceneri; piuttosto cede al raggiro e alla malafede. Il calcio è solo un espediente drammaturgico che permette agli attori di poter mostrare la reale sostanza dell’azione: la satira. «Il calcio è stato un pretesto per parlare di costume e di società all’italiana – spiegano Fulvio Maura e Angelo Sateriale -. Essendo tifosi di calcio, capivamo che il problema della nostra società nasceva da come era il calcio. Siamo partiti prima dal tiolo domandandoci: “Ma come si fa a essere tifosi della Juventus, soprattutto se non sei nato a Torino?”. E allora ci siamo detti: “Ma come sono gli juventini al di fuori della società? Come si comporterebbe uno juventino in altri aspetti? Facendo questo gioco mentale, c’è venuto in mente questo lavoro». In extremis, si tenta di dare voce ai deboli, a chi paga una condizione sociale di emarginato e reietto scavalcato dall’uomo ricco e di potere. Non spuntano soluzioni possibili. Si vedono solo due bambini che si contendono la palla in un “gioco” che non conosce fair play.
Miriam Guinea
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