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Colpo alla 'ndrangheta lombarda, ventotto arresti

MILANO I carabinieri del Comando provinciale di Milano hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 28 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associ…

Pubblicato il: 18/02/2016 – 6:57
Colpo alla 'ndrangheta lombarda, ventotto arresti

MILANO I carabinieri del Comando provinciale di Milano hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 28 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale degli stupefacenti, usura, estorsione e rapina. Gli arrestati sono 27 italiani e un albanese, catturati in Brianza, nelle province confinanti nonché in quelle di Crotone, Reggio Calabria e Bari.
Il provvedimento è stato firmato dal gip del tribunale di Milano Andrea Ghinetti su richiesta dei magistrati Alessandra Dolci e Marcello Tatangelo della Dda milanese. L’indagine ha acquisito, nei confronti di 11 fra gli arrestati, incontrovertibili elementi probatori in ordine alla loro affiliazione alla ‘ndrangheta. L’attività investigativa, inoltre, ha permesso di ricostruire le dinamiche criminali proprie della “locale” di Mariano Comense (Como) che, dedita secondo le indagini al traffico internazionale degli stupefacenti destinati ai mercati lombardi, calabresi e pugliesi, realizzava ulteriori profitti sottoponendo ad estorsione i commercianti del territorio, non tralasciando l’usura e le rapine.
Nel corso delle indagini è emerso il disaccordo tra la figura del presunto capo e quella di un affiliato che rivendicava per sé un ruolo di maggiore preminenza all’interno della struttura. La questione è stata oggetto di numerose «discussioni» ed è stata portata all’attenzione dei vertici criminali in Calabria.

L’INTIMIDAZIONE ALL’IMPRENDITORE L’inchiesta è iniziata indagando su un’intimidazione avvenuta nel 2012 con dei colpi di arma da fuoco contro due auto a Sesto San Giovanni. Fondamentale, però, per gli inquirenti è stata la denuncia di un imprenditore di origini calabresi che ormai schiacciato dai metodi mafiosi del suo socio in affari (noto ‘ndranghetista) si è presentato alla Direzione distrettuale antimafia di Milano.
«La testimonianza di Francomanno, questo il nome dell’imprenditore, è un caso molto raro – ha dichiarato il sostituto procuratore della Dda milanese, Alessandra Dolci –. La sua storia dimostra che stringere accordi con esponenti della criminalità organizzata, con la speranza di ottenere vantaggi o crescita lavorativa, porta ad essere fagocitati lentamente dal sistema. Nel suo caso, in particolare, aveva deciso di accogliere come socio di minoranza della sua attività commerciale un pregiudicato che dall’interno, attraverso i metodi mafiosi, è riuscito a rosicchiare tutta la sua azienda fino a costringerlo a cedere a prezzi irrisori la maggioranza e a chiudere altri rami che entravano in concorrenza con l’attività ‘ndranghetistica».
L’indagine è partita indagando su dei colpi di pistola esplosi contro due auto a Sesto San Giovanni e gli inquirenti hanno scoperto che si trattava di un’intimidazione dei fratelli Molluso nei confronti di due persone interessate ad acquistare degli immobili su cui loro avevano interesse.

IL BOSS AL SUMMIT Tra gli arrestati c’è anche il cosiddetto “soggetto 19”, ovvero uno dei partecipanti al summit di ‘ndrangheta al circolo Arci “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano avvenuto il 31 ottobre 2009. I carabinieri filmarono l’incontro e identificarono quasi tutte le persone intervenute ma per quelli rimasti anonimi assegnarono un numero. Come nel caso del “19”, che si scopre essere Giovanni Carneli, 40enne di Locri, indagato nel 2006 per traffico di droga. Quel giorno accompagnò in auto al summit Salvatore Muscatello, il boss di 81 anni detto “il vecchio”, allora capo della locale di Mariano Comense.

LOTTA INTESTINA C’era una lotta intestina alla “locale” di Mariano Comense (Como) tra Salvatore “il Vecchio” Muscatello, il capo storico di 81 anni, e Francesco Salvatore Medici, 64enne di Sant’Agata del Bianco. Quando il primo finisce in carcere (per l’inchiesta Infinito), Medici inizia a lavorare per ottenere maggiore autonomia all’interno del clan facendo valere la propria dote della “crociata” (termine che dà il nome all’inchiesta della Dda che oggi ha portato all’arresto di 28 persone), un grado molto alto nella scala gerarchica delle ‘ndrine, che pero’ non raggiunge quello del “crimine” posseduto da Muscatello. Inoltre, il boss 81enne contesta a Medici di non essersi interessato ai detenuti e alle loro famiglie, contravvenendo a una regola sacra della ‘ndrangheta: il sostegno agli affiliati quando sono in carcere. Così il figlio di Muscatello, il 47enne Domenico, fa la spola dalla Calabria per discutere con i padrini calabresi per fermare l’ascesa di Medici. I calabresi ritengono fondate le istanze dei Muscatello e bloccano quella che avrebbe potuto diventare una faida. Un’intercettazione registrata dai carabinieri di Monza chiarisce la questione: Finche’ qui ci saranno i Muscatello, saranno soltanto loro a comandare.

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