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E io sto con Magorno

E io sto con Ernesto Magorno. Mi metto al suo fianco e aspetto che parli e che, questa volta, la racconti tutta.Sto con Magorno, perché queste damine imbellettate e questi bulli di periferia che ha…

Pubblicato il: 07/06/2016 – 20:17
E io sto con Magorno

E io sto con Ernesto Magorno. Mi metto al suo fianco e aspetto che parli e che, questa volta, la racconti tutta.
Sto con Magorno, perché queste damine imbellettate e questi bulli di periferia che hanno massacrato il Pd, a Cosenza e non solo a Cosenza; che hanno ucciso la politica nel capoluogo bruzio e si accingono a farlo anche alla Regione Calabria non possono scappare, dopo avere rotto i vetri a pallonate, e lasciare il mite Magorno in mezzo alla piazza col pallone in mano mentre loro si infrattano per i vicoli coperti dalle tenebre.
Sto con Magorno, perché non intendo fare un regalo a chi, dopo avere occupato con tracotanza ogni spazio determinando una catastrofe politica e gestionale senza precedenti per la sinistra calabrese, adesso si ritrovi libera anche la casella della segreteria regionale.
Sto con Magorno, perché non ho da contestargli le sue scelte ma ho da perdonargli di non avere resistito quando gli hanno imposto di cambiarle.
Sappiamo tutti, in Calabria e a Roma, che avessero ascoltato Magorno, Gerardo Mario Oliverio non sarebbe mai stato il candidato del centrosinistra alla Regione Calabria e men che meno ne sarebbe stato il governato(re). Presta non sarebbe stato candidato a sindaco. La giunta regionale non sarebbe finita nei guai. Irto non sarebbe stato costretto ad affidare al sorteggio nomine delicatissime negli enti di sottogoverno. E via dicendo.
Basta con le ipocrisie: non furono le primarie a imporre Oliverio. Fu il partito trasversale della conservazione che fece sabotaggio di ogni candidatura alternativa per poi cedere alla minaccia di chi, dall’alto di dieci legislature tra i banchi di tutti i consessi elettivi, minacciava di candidarsi “a prescindere”.
E non fu Magorno a regalare alla Calabria questa rappresentanza di parlamentari autoreferenziali che raccolgono migliaia di voti alle primarie, laddove i controlli di legalità sono inesistenti, e poche dozzine nelle elezioni vere, dove gli imbrogli sono più difficili da realizzare.
Non è stato Magorno a consentire agli architetti dei fallimenti informatici di far gli iperrenziani al Nazareno, gli iperbersaniani a piazza Santi Apostoli e gli iperdalemiani a piazza Farnese.
Non è stato Magorno a stracciare lo Statuto e impedire la celebrazione dei congressi provinciali dove siedono segretari incompatibili. E non è stato Ernesto Magorno a ritirare l’incarico conferito a Ferdinando Aiello per il coordinamento dei circoli cosentini del Pd.
Guglielmelli, dipendente assenteista di una struttura regionale, minacciava pubblicamente di raccogliere le firme per sfiduciare Magorno se non si piegava ai diktat della “premiata ditta”. Nessuno fiatò, né a Roma e né in Calabria. Nessuno difese il segretario regionale sbeffeggiato sui giornali e sulle televisioni “amiche” della “premiata ditta”.
Il lanciafiamme Renzi doveva tirarlo fuori all’epoca. Benvenga che lo faccia oggi ma non certo per incenerire Magorno.
Paghi il conto chi ha permesso che le madame imbellettate avessero la meglio mentre il “partito ombra” cresceva e ingrassava. Oliverio, sempre più governato e sempre meno governatore, lasciava e lascia fare: essere del Pd ma non di “quel” Pd è presto diventato un incubo in Calabria. Massacrati quanti resistettero allo strapotere e al malgoverno scopellitiano, premiati quelli che dell’inciucio hanno fatto arte, dai tempi di Nisticò a quelli di Scopelliti passando per Chiaravalloti.
E giù con le liste di proscrizione e con l’arroganza tipica delle baronie dissolute e amorali. Senza pudore alcuno. O passavi dalla “premiata ditta” o finivi perseguitato fin dentro casa. La sanità privata? Puzzolente se votava a sinistra, fiore all’occhiello se sedeva in giunta con Scopelliti.
Gli imprenditori? Spinti al fallimento se hanno votato a sinistra, premiati con gare su misura se generosi con i nuovi padroni. Potremmo andare avanti all’infinito, non c’è settore che sia stato risparmiato da questi novelli visigoti.
E intanto scattava la decimazione, anche in termini di tesseramento, contro quanti erano fedeli al segretario regionale o con lui intendevano proporre una svolta dentro il partito. Peccato che, tra sorrisi e salamelecchi di cortigiane incallite, il buon Renzi abbia consentito che in Calabria la rottamazione avvenisse ma nel senso esattamente opposto a quello da lui auspicato: i vecchi hanno “rottamato” i giovani.
Salvatore Scalzo rispedito a Bruxelles. Massimo Canale ghettizzato a Gallico. Gianluca Callipo no. Lui ha capito e si è adeguato… Sopravvivono nella riserva indiana di Palazzo Campanella qualche Arturo Bova, qualche Nicola Irto, qualche Giuseppe Neri. Guai però a occuparsi di partito o a mettere il naso nel territorio.
Un Pd e un potere regionale rigorosamente cosenzacentrico e altrettanto rigorosamente fedele alla trimurti Adamo-Oliverio-Bruno Bossio. Non esiste centro di controllo che non abbia al vertice un cosentino della trimurti. Dalla Sorical a Calabria Verde, dall’Arpacal a Fincalabra. Tutti devono sapere e tutti si devono piegare. Così non vi è manifestazione, festa, convegno, dibattito che possa tenersi senza che vi sia alla presidenza la “dama nera”. Un iperpresenzialismo che farebbe la gioia di un congresso di strizzacervelli appassionati dell’evoluzione del bipolarismo applicato alla politica.
E giù a minacce e avanti con le manganellate mediatiche per i reprobi. Con la “Dama Nera” a chieder conto di chi frequenti, di chi ospita la tua pubblicità, di chi rilascia interviste, persino di chi saluti. Roba da far impallidire Elena Petrescu, mai rimpianta moglie del dittatore bulgaro Nicolae Ceausescu. Purchè gli interessi del casato vengano tutelati va tutto bene: Presta, un’opportunità storica. Guccione, meglio di Presta. Verdini, un signore di antico stampo. Morrone, un monumento di stabilità. Mancini, sempre stato nei nostri cuori.
A qualcuno è sfuggito ma nelle recenti elezioni amministrative e in molti comuni ad affrontarsi erano due Pd: quello della premiata ditta e quello storico. E la premiata ditta voleva pure il simbolo, in questo Magorno è stato irremovibile. Oliverio no: è andato con tutta la giunta regionale a portare conforto a “quelli nostri”. Hanno perso ovunque.
E adesso, tutti scomparsi, tutti zitti: le finestre sono andate in frantumi. La partita è finita. Persino Isernia ha fatto meglio fermando il crollo del Pd all’8%. E noi dovremmo prendercela con Ernesto Magorno.
Scusate ma a Cosenza non risiedono anche due autorevoli componenti della direzione nazionale del Pd? Perdonate, una di queste non è anche autorevole componente della Direzione nazionale con delega al Mezzogiorno? Oppure Stefania Covello ha vinto le elezioni per via della presenza tra i suoi fedelissimi di un giovane democratico, imposto anche nella direzione nazionale dei Gd, figlio di un dirigente del comune di Cosenza fedelissimo del sindaco Mario Occhiuto. Fedelissimo al punto da ritrovarsi imputato per avere firmato decine di determine frutto, secondo le accuse del Pd, di clientela politica.
Siamo i primi ad essere convinti che le colpe (eventuali) dei padri non possono ricadere sui figli… ma neanche su Magorno.

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