SAN FERDINANDO Tende fatiscenti, rattoppate alla meglio, accanto a baracche messe insieme con teloni e pezzi di legno rimediati chissà dove, fili di panni stesi al sole, biciclette ammassate negli angoli, braci fredde e resti di fuochi, la voce di un improbabile televisore che gracchia in una tenda trasformata in spazio comune e centro di aggregazione. Questa era quella che Sekine Traore chiamava casa. Questa è la tendopoli in cui ha trovato la morte, per un colpo di pistola sparato da un carabiniere.
IL VERO TRAORE Secondo la versione ufficiale, quel militare, spaventato, avrebbe solo reagito alla sua aggressione. Ma gli ospiti del campo che oggi hanno marciato compatti fino al Municipio di San Ferdinando raccontano un’altra versione. Raccontano che Traore non era né un ubriacone, né un tossicodipendente. Certo, capitava che andasse in escandescenze, o che diventasse insistente e petulante. In alcuni casi rissoso. Ma non era un relitto, non era un problema.
UN BRUTTO MOMENTO È vero, in mattinata c’era stato qualche momento di tensione. E non è difficile che capiti al campo, soprattutto a fine stagione, quando il lavoro scarseggia e chi è costretto a restare se lo contende. Si lavora di meno e capita pure che paghino meno. Per questo è più facile che scoppi la lite, l’alterco, la rissa. Ma in genere, spiegano i ragazzi che si aggirano per la tendopoli, basta fare la voce un po’ grossa. Basta che qualcuno cui viene unanimemente riconosciuta autorità mostri la faccia più dura. Per questo, ieri qualcuno ha avvertito i carabinieri. Nessuno però si aspettava che la situazione degenerasse e che oggi ci sarebbe stato un fratello da piangere. Quello che avevano tentato più e più volte di far ragionare. Poi sono arrivati carabinieri e polizia.
LA VERITÀ DEL CAMPO La versione ufficiale dice che il militare ferito ha sparato per reagire a un’aggressione, ma la versione dei braccianti è un po’ diversa. Dicono che non ci sia stata nessuna aggressione nei confronti delle forze dell’ordine prima che tentassero di avvicinarsi, che tutto è avvenuto mentre erano soli, loro sei e Traore, nella tenda, che da fuori si udivano grida e rumori di colluttazione, e poi, d’improvviso, lo sparo. E su quel colpo mortale vogliono la verità. “Siamo qui per lavorare, non per fare casino. Siamo qui per mandare qualche soldo a casa e per questo accettiamo anche di vivere così. Ma non si può morire così”.
BALUARDI O NEMICI? Non capiscono i ragazzi della tendopoli come sei uomini addestrati non siano riusciti ad avere la meglio su un ventisettenne, se non uccidendolo. Non capiscono come quelle divise, che negli ultimi mesi erano diventate un punto di riferimento perché realmente impegnate a scoprire i responsabili delle aggressioni che i migranti hanno subito, si siano trasformate nel nemico. E parlano di omertà, quella che loro – stranieri in terra di ‘ndrangheta – hanno imparato rapidamente a conoscere.
FANTASMI DEL PASSATO C’è rabbia, frustrazione e disperazione alla Tendopoli. Chi è rimasto, non può partire. Aspetta documenti, permessi, soldi o un’occasione. Nel frattempo sopravvive. Con l’amara consapevolezza di non aver nulla da perdere. Un quadro potenzialmente esplosivo che ha convinto le istituzioni tutte ad agire in fretta. Le condizioni sono profondamente diverse, ma il fantasma della rivolta del 2010 fa paura a tutti. Per questo, fin da questa mattina si è cercato di creare un ponte, un contatto, con la comunità della Tendopoli. Al termine del presidio, ad una delegazione che comprendeva Mamadou, cugino di Traore, è stato accordato un incontro, durante il quale sono state ascoltate le loro richieste e le loro denunce.
INTERVENTI URGENTI Nel frattempo, in prefettura è stato convocato in tutta fretta un comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Obiettivo? Accelerare e fissare tempi certi sui tre interventi da tempo programmati: superamento della tendopoli, programma di integrazione urbana dei migranti, tutela dei diritti dei braccianti. «La ferita che c’è nella Piana di Gioia Tauro è così importante che non richiede indugi da parte di nessuno. Lo Stato ce la sta mettendo tutta», dice il prefetto Claudio Sammartino, che fin dal suo arrivo ha chiesto e ottenuto che alle condizioni di vita e lavoro dei migranti si prestasse attenzione.
LAVORO DI TUTTI Una strategia – continua il prefetto – che deve essere messa in atto in modo sinergico e con il supporto di tutti, istituzioni e associazioni. Anche loro sono state convocate alla riunione convocata in prefettura per stabilire tempi e modi di intervento sulla tendopoli. Intervento urgente, perché quella è una bomba sociale pronta a scoppiare.
STRUMENTI «C’è bisogno di fare presto, di fare bene, e soprattutto di raggiungere questi obiettivi che ci siamo posti. Per questo, c’è bisogno della collaborazione di tutti», sottolinea il prefetto. Gli strumenti ci sono. E i soldi anche. Dal ministero si attendono 450mila euro e 300mila arriveranno dalla Regione Calabria. L’obiettivo principale è costituire fondi per i Comuni del comprensorio, in modo che possano ospitare i migranti in alloggi, da affittare a prezzo calmierato. Un programma che dovrà coordinare la Regione e potrebbe mandare in soffitta anche l’ipotesi di una nuova tendopoli. «Se si parte subito, quell’insediamento temporaneo non è neanche necessario», si lascia strappare Sammartino.
TUTELA DEI LAVORATORI Allo stesso modo, anticipa il prefetto prima dell’inizio del comitato, è necessario continuare a vigilare sul rispetto dei diritti dei braccianti. Dall’inizio dell’anno, ci sono state 21 operazioni di contrasto al caporalato e al lavoro nero che hanno permesso di passare al pettine fitto centinaia di aziende agricole del comprensorio. «E non ci fermeremo», aggiunge Sammartino, determinato a mettere in atto quell’accordo firmato il 27 maggio tra i ministri dell’Interno, dell’Agricoltura e del Lavoro, con le organizzazioni di categoria dei datori di lavoro agricoli, organizzazioni sindacali, organismi e associazioni di volontariato e umanitarie, che – quanto meno sulla carta – mira a cancellare caporalato e lavoro nero. Il lavoro da fare però è ancora tanto.
LE INDAGINI Nel frattempo, sul fronte investigativo le indagini continuano. Nominati oggi i periti di parte, nei prossimi giorni – al massimo entro lunedì – sarà effettuata l’autopsia sul corpo del giovane maliano, mentre toccherà ai periti balistici ricostruire la traiettoria di quel proiettile che gli ha strappato la vita. Bisognerà invece attendere la prossima settimana perché di fronte ai pm di Palmi inizino a sfilare i due poliziotti e i tre carabinieri presenti nella tenda in cui Traore è stato ucciso, insieme al militare che ha sparato. Alcuni braccianti invece sono già stati sentiti. Si tratta di quelli che hanno assistito alla lite che ha indotto gli ospiti del campo a sollecitare l’intervento dei carabinieri e che dopo l’omicidio sono stati identificate. “Non siamo a conoscenza di altre persone informate sui fatti”, dice perentorio il procuratore capo di Palmi, Ottavio Sferlazza. Ma alla sua procura non è arrivata ancora alcuna comunicazione formale o informale sulla riunione avvenuta oggi a San Ferdinando al termine del sit in di protest
a degli ospiti del campo. In ogni caso, l’indagine rimane aperta. Come la speranza dei braccianti, che sognano di essere uomini. E non fantasmi.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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