Il lanciafiamme può attendere, per ora
LAMEZIA TERME Il Pd deve cambiare passo, altrimenti morirà prima di nascere. Gli autoconvocati di Lamezia frenano sulla rottamazione hard, chiedono che nel partito si torni a discutere e non agi…

LAMEZIA TERME Il Pd deve cambiare passo, altrimenti morirà prima di nascere. Gli autoconvocati di Lamezia frenano sulla rottamazione hard, chiedono che nel partito si torni a discutere e non agitano – almeno non da subito – lo spettro dell’azzeramento. Per quello c’è tempo. Stilano un documento duro, ma non durissimo, che il consigliere regionale Arturo Bova (che sarebbe dovuto essere presente alla riunione ma è stato trattenuto a Reggio Calabria per il consiglio comunale aperto sull’escalation di intimidazioni) presenterà sabato nella direzione regionale convocata sempre a Lamezia. Un documento che media tra soluzioni radicali e vie d’uscita leggermente più felpate. Nessuna resa dei conti, almeno per il momento.
«Si pone – scrivono – la necessità di costruire il partito, dalle fondamenta, partendo da un nuovo protagonismo del territorio dove, negli anni, sono cresciute esperienze e soggetti politici ed esperienze innovative». Il Pd calabrese «deve fare un salto di qualità che sinora è mancato, chiudendo definitivamente con la stagione delle chiacchiere su una presunta unità che al momento non esiste». L’imperativo è ripartire dai territori, includere e non emarginare, «rinnegando i tesseramenti di facciata e restituendo la parola ai militanti e a quella parte della classe dirigente locale che da tempo immemorabile ormai lancia allarmi puntualmente inascoltati». I problemi dem sono molti. C’è «il costante mancato rispetto delle regole, come nel caso delle segreterie provinciali ancora guidate da chi a norma di regolamento non potrebbe». C’è «il ricorso utilitaristico alle primarie, che vengono fatte saltare quando non fanno comodo a qualcuno, come è accaduto per le elezioni poi perse a Cosenza e a Crotone». Ci sono «le imbarazzanti irregolarità che puntualmente accompagnano le campagne di tesseramento». Cose che svuotano di senso l’attività. E svuotano le sezioni e la credibilità del Pd, portandolo alla «marginalizzazione politica». Davanti a tutto questo, gli autoconvocati di Lamezia non vogliono la guerra, ma «sgomberare il campo da tutte le ipocrisie che sinora hanno impedito al Pd Calabria di volare alto. Vogliamo che il Pd rialzi la testa e ritrovi l’orgoglio di rivendicare una politica davvero moderna, progressista e riformatrice, chiudendo la stagione fallimentare dei feudi dominati dai soliti professionisti della politica che antepongo sempre le proprie ambizioni personali a qualunque obiettivo collettivo».
(L’intervento di Marco Ambrogio)
Non è un ritorno alla rottamazione. Anche se, a dire il vero, la rottamazione qui non si è mai vista. Perché stando agli interventi di Lamezia («un po’ sfoghi, un po’ autoanalisi», per usare il riferimento freudiano di qualcuno degli intervenuti, il Partito democratico non è mai cambiato. Ha proposto sempre le stesse facce, le stesse dinastie, le solite «candidature bifamiliari». E allora che si fa? Parola d’ordine: lanciafiamme. Con qualche distinguo, però. Se, infatti, Marco Ambrogio, il consigliere comunale cosentino che ha voluto fortemente l’adunata, propone un azzeramento di tutti i vertici del partito (da Ernesto Magorno in giù), Gianluca Callipo – sindaco di Pizzo che ha sfidato Mario Oliverio nelle primarie per la scelta del candidato governatore – frena: «All’azzeramento si può arrivare, ma prima serve un’analisi delle responsabilità, degli errori che ci hanno fatto arrivare a questo punto». È più netto, Ambrogio: «Oggi non nasce una corrente, ma dev’essere chiaro: nel Pd non è più tempo di buonismo. È ora di prendere posizioni forti. Servono due strategie. Una di breve termine: l’azzeramento, appunto, e un’altra di medio termine: un percorso che conduca a un nuovo congresso regionale in autunno sotto la guida di un comitato di garanzia». Tutti d’accordo sull’analisi, però. «Il Pd – spiega ancora Ambrogio – ha paura del dibattito, preferisce comunicati stampa e decisioni prese nelle chiuse stanze. Non c’è una segreteria regionale, ci sono segreterie provinciali illegittime. Di questo passo e con queste logiche rischiamo di perdere non solo il referendum ma anche le amministrative di Catanzaro». Un altro segno dell’aria che tira: «Molti sono stati convocati per evitare che partecipassero a questa riunione libera».
La fiducia negli organi istituzionali è prossima allo zero. Elisabetta Tripodi, ex sindaca antimafia di Rosarno la cui giunta è stata affossata dal Pd (che, poi, non ha neppure presentato il proprio simbolo in quel Comune di frontiera), lo dice chiaramente: «Non credo nelle assemblee e nelle direzioni regionali, con interventi preconfezionati. In questo partito non c’è mai stato un luogo per confrontarsi. Non so se nella prossima direzione (convocata per sabato 9 luglio, ndr) verrà data voce al dissenso». In effetti, ogni intervento dedica un passaggio alla direzione prevista nel fine settimana. I più gentili la giudicano inutile, i maligni si chiedono se si farà davvero, tutti sperano che non si esaurisca nel solito rituale appello all’unità. Callipo, da parte sua, spera che la direzione, per una volta, faccia davvero ciò che promette. E tira fuori un documento approvato all’unanimità dall’assemblea regionale del novembre 2015. Esamina un paio di punti: «Avevamo assicurato che i candidati a Crotone e Cosenza sarebbero stati scelti con il meccanismo delle primarie; avevamo promesso lo svolgimento dei congressi provinciali a Reggio Calabria, Vibo Valentia e Catanzaro. Non abbiamo fatto né l’una ne l’altra cosa. Come possiamo pretendere che i cittadini ci considerino credibili se quello che diciamo dopo un minuto diventa carta straccia o materiale buono solo per guadagnare qualche mese senza che nessuno rompa le scatole?». Nella sala dell’hotel Lamezia più di un centinaio di militanti, amministratori locali, membri della direzione regionale sono d’accordo su un punto: inizieranno a rompere le scatole, «perché la responsabilità e il rispetto – per dirla ancora con Callipo – sono visti come elementi di debolezza. Dunque cambiamo linea». Un ritorno al dissenso esplicito, più che alla rottamazione (o al lanciafiamme).
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it