CATANZARO Tutta colpa (o merito) di quella maledetta passionaccia. Di quell’attaccamento al lavoro e al senso del dovere così smodato che ti fa perdere anche la cognizione del tempo. Capita così alla Regione Calabria che alcuni dirigenti over 65 restino in sella nonostante le leggi dicano che in quel posto non possano più restare. Lo dice chiaramente il decreto legge 90/2014, convertito nella legge 114/2014, con lo scopo di favorire il ricambio generazionale e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni. Tale norma ha abrogato quella previsione che consentiva il mantenimento in servizio del personale che aveva maturato i requisiti per il diritto a pensione. Tradotto: diventa obbligatorio collocare in pensione chi ha maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia, ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l’età limite ordinamentale. Un esempio per capire meglio: vanno collocati obbligatoriamente in pensione tutti i dipendenti che rientrano nella cosiddetta “quota 96”, cioè coloro, al dicembre 2011, sommando l’età anagrafica, con gli anni di contributi, raggiungono, appunto, “quota 96”.
Davanti a tale quadro tutte le amministrazioni pubbliche si sono adeguate. E così ha fatto la Regione Calabria attraverso una circolare inviata a tutti i dipendenti. Oggetto: tutti coloro che abbiano raggiunto la quota 96, devono obbligatoriamente essere collocati in pensione dal primo giorno del mese successivo al compimento del 65° anno di età.
IL CASO SINGOLARE Tra i corridoi della Cittadella, però, sono in tanti a far notare il caso singolare che riguarda Giuseppe Antonio Bianco, classe 1951, potente e stimato direttore generale della presidenza della Regione, che lo scorso 15 maggio ha compiuto 65 anni. Il collocamento in pensione? Nemmeno a parlarne. Bianco continua a svolgere il suo delicatissimo lavoro in uno dei settori nevralgici della macchina amministrativa calabrese. E questo nonostante abbia superato la famigerata “quota 96”. Già, perché dopo essere entrato nella pubblica amministrazione nel lontano 1979, ha pensato bene di riscattare gli anni di studi universitari. Dunque, alla fine del 2011 aveva maturato entrambi i requisiti: 60 anni di età e 36 di servizio utili ai fini pensionistici. Peraltro lo stesso dirigente è reggente, non titolare, del dipartimento e ancora non si è provveduto a indire l’avviso per la nomina del titolare. Come mai?
L’ALTRO (POTENZIALE) CASO A Bianco presto potrebbe affiancarsi un altro direttore generale. Si tratta di Pasquale Anastasi, direttore generale del dipartimento Cultura e Turismo della Regione – settori di recente finiti al centro di bufere per via di alcune scelte bizzarre della giunta –, che ha compiuto 65 anni il 13 novembre. Lui ha addirittura iniziato a lavorare nel 1975 e, a parte il riscatto della laurea, dovrebbe rientrare ampiamente nella “quota 96”. Si capisce, insomma, che avendo festeggiato il compleanno nel corso di questo mese, dal 1° dicembre dovrebbe essere collocato in pensione.
LE POSSIBILI SANZIONI La Corte dei conti, sul punto, in una pronuncia che risale al 2002, ha espresso parole chiare: «Il trattenimento in servizio di un dipendente pubblico oltre i limiti di età costituisce un’illegittimità di tale evidenza che non può non essere addebitata a titolo di colpa grave di chi l’abbia consentita. Di conseguenza – scrivono sempre i giudici contabili –, il capo del personale che al riguardo abbia espresso parere favorevole deve rispondere verso l’ente pubblico dell’ingiusto danno corrispondente alle retribuzioni erogate al dipendente trattenuto in servizio». Insomma, non c’è stare molto sereni…
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it
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