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Il migliore sindaco? Quello non rieletto

Il migliore sindaco è quello non rieletto! Ciò in quanto deve accertare e riscuotere tutto senza ricorrere ad una imposizione bonista.  Un buon governatore è colui che sa prioritariamente elab…

Pubblicato il: 09/01/2017 – 10:08
Il migliore sindaco? Quello non rieletto

Il migliore sindaco è quello non rieletto! Ciò in quanto deve accertare e riscuotere tutto senza ricorrere ad una imposizione bonista. 
Un buon governatore è colui che sa prioritariamente elaborare il migliore «progetto industriale» per la propria Regione e scegliere i migliori tecnici per portarlo a termine.
Entrambi devono bandire il clientelismo e non circondarsi di schiappe. È quanto affermo da tempo.
Da quando ho cominciato – più di un decennio addietro – ad interessarmi di finanza pubblica, allorquando fui coinvolto nella Copaff per la pratica attuazione del federalismo fiscale. Cominciai, da subito, a rendermi conto che negli enti locali vigeva una condizione di precarietà dei conti, uguale se non peggio di quella che avevo riscontrato, appena prima, analizzando le condizioni dei conti sanitari del Lazio, della Campania e della Calabria, scoprendo buchi miliardari inediti.
Situazioni talmente precarie cui non sarebbero stato affatto sufficienti – così come è poi stato –  le iniezioni di liquidità, non gratuite, promesse e poi erogate dallo Stato (così come avvenuto con le sanità regionali in default) con i decreti leggi 35/2013, 66/2014 e 66/2015 per sistemare il tutto (!). 
Troppo alti gli oneri e troppo impegnativi i ratei di ammortamento per restituire, seppure in trenta anni, quanto anticipato dalla Cddpp. Una «soluzione» politica che ha fatto apparire «belli e simpatici» gli «inventori» dell’epoca che hanno lasciato il debito così come era, riassunto onerosamente in capo alla mutuante Cassa piuttosto che nei riguardi dei rispettivi fornitori (correttamente salvati dalla altrimenti insolvenza). Insomma, la solita brutta abitudine di privilegiare l’apparire all’essere! 
Sarebbe occorso e ancora occorrerebbe, piuttosto, una sorta di intervento perequativo sul debito pregresso, un bonus a carico del bilancio dello Stato perché quello della Repubblica iniziasse una nuova era. Il tutto assistito da una ulteriore perequazione infrastrutturale che pareggiasse (finalmente) i «conti del patrimonio produttivo» degli enti chiamati ad essere virtuosi. Ciò nel senso di assicurare agli stessi (aziende sanitarie ed enti pubblici del Sud) le strutture e le tecnologie più avanzate, attualissime nella gran parte del Paese e invece da rottamare nel Mezzogiorno, offeso per sua stessa colpa da una corruzione che non avuto e non ha ancora eguali.
Di contro, a poco sono valsi sin d’ora i piani di rientro nella sanità, con tanti inutili commissari ad acta al seguito, e i predissesti molto frequentati dai comuni, con quelli calabresi più numerosi che altrove. Per non parlare di quelli dissestati che con le ulteriori agevolazioni recate dalle più recenti misure nazionali (decreto legge 113/2016) impoveriranno ancora di più il loro migliore patrimonio, al netto delle vendite dei «gioielli di famiglia» per onorare i debiti, oberati come saranno da rate trentennali così consistenti da non lasciare una risorsa libera nei loro già poveri bilanci. Il tutto, con disponibilità finanziarie precarie a causa soprattutto di mancati accertamenti degli imponibili non censiti e  di una riscossione che non c’è.
A ben vedere, tra organi straordinari liquidatori per i comuni dissestati, tra dissesti validi sulla carta (e neanche) e commissari ad acta nella sanità, anch’essi liquidatori, ignari dei fabbisogni epidemiologici da soddisfare, di qui a poco avremo un pezzo del Paese (Calabria e Campania certamente) raso al suolo sul piano dei servizi pubblici.
Il 2017, al di là del numero non attraente, dovrà essere l’anno della riscossa!
Alziamoci le maniche e facciamo ricorso alle buone politiche di governo territoriale – piuttosto che litigare, peraltro, anche impropriamente – rivendicando, ove mai, dallo Stato più corrette misure redistributive che assicurino al Sud – magari divenuto, nel frattempo, saggio gestore delle proprie risorse – i mezzi necessari per partire uguali e concorrere alla pari degli altri.
Per fare tutto questo, necessita fare ciascuno il proprio dovere. 
Nella sanità, riconsegnando la programmazione al massimo consesso regionale, cui dovrà adempiervi con la massima partecipazione possibile. Che approvi, con legge, la pianificazione del prossimo triennio, modificando come si deve il PSR del 2004, licenziato con la legge n. 11. Un modo per passare la palla al governo che dovrà così esprimersi (finalmente) sulla reale portata della potestas del commissario ad acta impugnando o meno il tutto avanti alla Consulta. In relazione, invece, al sistema degli enti territoriali: 
– la Regione dovrà legiferare un riordino di tutto il sistema autonomistico locale, lasciato irresponsabilmente così com’è oggi e disciplinando le politiche aggregative (soprattutto le fusioni,  intraprese «a mano libera») con percorsi che garantiscano la sostenibilità delle «nuove città», da decidere con grande cautela e a garanzia della corretta comparazione dello stato di salute dei bilanci dei Comuni coinvolti;
– i Comuni dovranno accertare tutto l’evaso e l’eluso, riscuotendo ciò che si deve, senza utilizzare il «non accertato» e il «non riscosso» come merce di scambio elettorale. Non solo. Dovranno rendere tutto il patrimonio funzionale alla generazione di reddito spendibile ovvero, in difetto, procedere alla sua dismissione finalizzata alla formazione di una ricchezza produttiva del migliore godimento sociale.

*Docente Unical

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